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Percorso 01
Un percorso di esplorazione della nuova edizione della fiera, alla scoperta di come l’immaginazione possa portare artisti e artiste a indagare spazi al limite e dar loro nuove possibilità di lettura.
Tappa 01
Corridoio fucsia 4
01.45
Tappa 02
Corridoio blu 8
05.00
Tappa 03
Present Future PF 4
08.29
Tappa 04
Back to the Future BTTF 8
11.43
Tappa 05
Corridoio rosa 15
15.04
Tappa 01
Corridoio fucsia 4
01.45
Tappa 02
Corridoio blu 8
05.00
Tappa 03
Present Future PF 4
08.29
Tappa 04
Back to the Future BTTF 8
11.43
Tappa 05
Corridoio rosa 15
15.04
Buongiorno, ti diamo il benvenuto ad Artissima 2024. Questo è il progetto AudioGuide e stai ascoltando il percorso numero 01 intitolato Sognare a occhi aperti, che ispirandosi al tema di quest’anno, ti permetterà di scoprire lavori di artisti di differenti generazioni, attraversando un’ampia varietà di tecniche e linguaggi. Artissima giunge al suo 31esimo anno, e si propone a noi come sempre ricca, con 189 gallerie da 34 Paesi. Come negli anni precedenti, sono presenti 3 sezioni curate: Back to the Future dedicata a ricerche storiche, Present Future a quelle più attuali e Disegni dedicata alle opere su carta, che si trovano raccolte al centro dell’Oval. Il sogno a occhi aperti, a differenza dell’attività onirica, dev’essere ancora ampiamente studiato. È una condizione dai contorni difficilmente definibili, nella quale cui, pur coscienti, tendiamo a separarci dalle percezioni dirette e a vivere un tempo parallelo in cui inseguiamo aspettative, desideri e paure. In questi momenti realtà e fantasia governano la nostra mente alla pari, come consoli di un mondo effimero. Oggi ci muoveremo fra dubbi, aspettative, visioni e riflessioni, alla ricerca delle ambiguità che mettono in discussione la nostra conoscenza di ciò che ci circonda. Le audioguide sono state sviluppate per Artissima dalle mediatrici e dai mediatori di Arteco. Questo percorso è stato curato da Sergio Manca. Siamo pronti per partire. La prima tappa sarà la galleria MATTA, nella sezione New Entries, allo stand numero 4 sul corridoio fucsia. Ora metti in pausa il tuo player e schiaccia play una volta che sarai lì.
Immaginate per un attimo di entrare in un negozio di animali e di ritrovarvi circondati da acquari pieni di pesci. Mentre vi perdete osservando i movimenti di questa massa variopinta, che sembra condurre una danza sottoposta a codici tutti suoi, nella vostra mente iniziano ad affiorare note che la accompagnano. E se fossero i pesci stessi i compositori, o meglio gli autori, di questa insolita partitura? Ci troviamo nello spazio di Matta, galleria situata nello storico palazzo INA di Corso Sempione a Milano, progettato negli anni 50 da Piero Bottoni. La giovane galleria, aperta nel 2022, espone progetti artistici innovativi, con attenzione al site-specific. Per la sua prima partecipazione ad Artissima, MATTA espone il lavoro dell’artista danese Clara Hastrup, nata nel 1990 e formatasi alla Glasgow School fo Art e alla Royal Academy di Londra. Il suo lavoro evidenzia spesso il paradosso umoristico che si origina dall’unione dell’imprevedibilità, spesso legata a elementi organici viventi, e delle strutture tecniche artificiali, fredde, logiche e messe crudamente in evidenza. Questo incontro ci invita a riflettere sulle dinamiche della tecnologia, sui rapporti fra l’uomo della società dei consumi e le altre specie, ma può anche inaspettatamente attivare in noi risposte emotive spontanee e giochi dell’immaginazione. Dietro una tenda troviamo l’installazione dal titolo Fishphonics: Accelerando, costruita attraverso un sistema di acquari collegati a strumenti musicali a percussione, come xilofoni e metallofoni. Proiettati dall’alto, fasci di luce si infrangono nell’acqua e raggiungono i sensori sul fondo delle due vasche. Attraversandoli, i pesci proiettano un’ombra su un fotorecettore che, per mezzo di un microcontrollore, attiva gli strumenti, facendoli suonare. Il titolo fa riferimento alla possibilità che il ritmo aumenti, se i pesci cresceranno o si moltiplicheranno. L’effetto è allo stesso tempo familiare e spiazzante: il fare musica è delegato alla natura inconsapevole, l’opera non è mai uguale a se stessa e si suoni che ne emergono si susseguono in modi inaspettati, talvolta gradevoli, talvolta stranianti, con un effetto inevitabilmente ipnotico. Tutti gli elementi che compongono l’installazione sono ricontestualizzati in un sistema ironico e a tratti giocoso, che non vuole essere strumento per dimostrare tesi o raggiungere obiettivi. Indirettamente però affiorano i rapporti fra gli opposti, fra dimensioni che abitualmente percepiamo come incomunicanti fra loro. La componente tecnologica, apparentemente complessa, si rivela banale nella sua stretta funzionalità, di fronte al fascino della natura, che resta ai nostri occhi seducente e incomprensibile: quali bisogni e quali stimoli ambientali dirigono il movimento dei pesci? Al centro di tutto resta il fascino dell’esperienza spettatoriale, del lasciarsi accompagnare dal rapporto fra suoni e movimenti, in cui ogni tanto la nostra mente cercherà di trovare un ordine al quale dare senso, ma invano. La nostra prossima tappa sarà la galleria Ermes Ermes, che si affaccia sul corridoio blu. Lo stand è indicato con il numero 8. Metti in pausa il tuo player e schiaccia play quando sarai lì.
Quanto i nostri sogni a occhi aperti possono essere influenzati, indirizzati o addirittura costruiti dalla comunicazione di massa? Nel momento in cui la nostra mente si allontana dalla percezione della realtà, dedicandosi a possibilità, aspettative e desideri, è probabilmente condizionata da modelli e strutture linguistiche della nostra cultura di appartenenza e da suggestioni a cui siamo esposti continuamente. Proviamo a viaggiare indietro nel tempo fino agli anni 70 e pensiamo a quali fattori contribuiscano a costruire l’architettura della cultura popolare. Immediatamente penseremo alle pubblicità, ai telefilm e ai fotoromanzi. Tutte realtà fondate su formule ricorrenti e riconoscibili, approntate per una fruizione superficiale e cariche di stereotipi. Quest’universo così lontano dal mondo intellettuale, eppure onnipresente nella vita di tutti, attirò dal 1974 l’interesse di una giovane artista francese, arrivata in Italia alla ricerca di nuovi modi di intendere l’arte. L’artista si chiama Nicole Gravier ed è presentata qui da Ermes Ermes: galleria fondata a Vienna nel 2017, che dal 2021 ha sede a Roma in un palazzo del Quattrocento. Il lavoro di Gravier è principalmente fotografico e ruota attorno a quelli che lei definisce “problemi fondamentali”, cioè i codici linguistici alla base della produzione delle immagini e la diffusione di stereotipi. La prima serie a cui lavora riguarda i telefilm polizieschi americani, molto popolari anche in Europa, nei quali individua alcuni elementi che si ripetono costantemente, come le strutture narrative o alcune inquadrature. L’artista fotografa direttamente la televisione nei momenti che considera significanti, mostrando somiglianze fra puntate diverse e rivelando quanto certe immagini siano ricorrenti al punto che la nostra mente vi associa immediatamente una reazione e addirittura riesce a prevederle. Le interessano soprattutto le immagini secondarie, di raccordo, nelle quali gli oggetti vengono caricati di valori emotivi. Dal 1976 al 1980 realizza la sua serie più celebre, intitolata Myths et Clichés: partendo dall’osservazione dei fotoromanzi all’epoca in voga, l’artista estrae le immagini ricorrenti di situazioni in cui la protagonista femminile viene mostrata debole e vittima degli eventi, evidenziando gli stereotipi patriarcali e denunciando il potere di condizionamento dei sogni e del comportamento delle giovani ragazze. Dopo aver selezionato le immagini, le replica con fotografie costruite in cui lei stessa compare nelle vesti di più personaggi femminili, elaborando una narrazione discontinua in cui l’artista si sostituisce alle sventurate eroine delle storie originali. Le sue fotografie sono però spesso contaminate da elementi contraddittori e perturbanti: vicino agli oggetti tipici come telefoni, lettere e sveglie, compaiono pubblicità patinate o saggi sulla rivoluzione, che rendono le immagini ambigue. Attraverso la selezione, l’immedesimazione, il gioco sul linguaggio, Gravier si rivolge a materiali popolari con acume pungente, mettendoci di fronte al carattere problematico degli stimoli ai quali siamo esposti quotidianamente senza averne piena consapevolezza. La nostra prossima tappa sarà la galleria Petrine, che si affaccia sul corridoio di fronte all’ingresso. Si trova nella sezione Present Future e il suo stand è indicato con il numero 4. Metti in pausa il tuo player e schiaccia play quando sarai lì.
La giovane galleria parigina Petrine ha aperto nel settembre del 2022 in un vecchio studio fotografico del decimo arrondissement, a due passi dal celebre locale delle Folies Bergère, celebrato da Toulouse-Lautrec e Manet. Per Present Future, la galleria espone alcune opere dell’artista tedesco Lenard Giller, realizzate quest’anno. Giller, nato a Monaco di Baviera nel 1997 e specializzatosi all’UCA di Canterbury, dal 2020 ha già presentato le sue opere al pubblico internazionale, esponendo presso istituzioni di rilievo come Art Basel e il MACRO. La sua pratica spazia tra media diversi, dalla fotografia al video al suono. Spesso queste tecniche dialogano nel comporre il progetto finale. L’interesse di Giller si rivolge soprattutto alle tecnologie basate sul tempo e ai relativi meccanismi di rappresentazione e percezione. Le analizza, decostruisce, reinterpreta e le mette a confronto. L’artista dichiara di non amare ciò che chiama tempo consumabile, ma di essere più interessato al tempo riflessivo. Il primo è prestabilito e imposto, ha una durata precostituita ed è finalizzato al consumo completo: è confezionato per essere venduto e usato fino al suo esaurimento. Il secondo è fluido e arbitrario, costruito in fieri dalla persona che lo sta vivendo, la quale si muove al suo interno in assoluta libertà. I suoi lavori cercano di donare a chi li fruisce la possibilità di un tempo riflessivo: spesso realizza opere video in loop a camera fissa o composte di vuoti e immagini statiche, come il progetto Productions nel quale dichiara la riduzione di contenuto nei passaggi da un medium all’altro, partendo dal rapporto fra il film d’animazione Disney Cenerentola e il relativo album di figurine. Nelle sue opere il suono ci accompagna nello scorrere del tempo, ma non lo scandisce: talvolta è rumore bianco, che diventa impercettibile molto in fretta. Contrariamente ai film o ai brani per come li intendiamo abitualmente, le sue opere nascono per essere fruite in un contesto di visita libera, senza griglie temporali: esse sono in grado di inserirsi nella nostra percezione agendo con la stessa efficacia, qualunque sia la quantità di tempo che decidiamo di dedicare loro. Ad Artissima porta due nuovi lavori indipendenti basati sui concetti di interazione e sovrapposizione: una traccia sonora in cui i rumori della città e le melodie prodotte in studio si fondono sulle stesse frequenze e un video in cui un pianoforte, nella sua forma sinuosa e riflettente, viene inquadrato da distanze diverse. La durata di ogni inquadratura corrisponde alla lunghezza di pellicola 16mm che serve per coprire la distanza fra la macchina da presa e l’oggetto. Ancora una volta sistemi provenienti da mondi diversi, così come tempo e spazio, finiscono per perdere i confini che li delimitano, agendo in modo enigmatico sulle nostre percezioni. La nostra prossima tappa è la galleria See you next Tuesday. La troviamo al numero 8 della sezione Back to the future, affacciata sul corridoio bianco. Metti in pausa il tuo player e schiaccia play quando sarai lì.
In quali momenti possono affiorare nella nostra mente immagini che ci sorprendano o finiscano per inquietarci? Entriamo nello spazio di See You Next Tuesday, galleria di Basilea che si propone come piattaforma di messa in discussione di gerarchie e narrazioni precostituite, con particolare attenzione alle dinamiche introspettive e alla dimensione femminista del lavoro artistico. Di fronte a noi, su una grande tela, una figura femminile adagiata su una poltrona sembra assorta mentre osserva un uccello nero in gabbia. Il titolo dell’opera è traducibile come “La spettatrice”, il che ci lascia pensare che i movimenti dell’uccello prigioniero si presentino a lei come una sorta di spettacolo macabro. Le pareti laterali sembrano quasi manifestare la serie di visioni che potrebbero affollare la sua mente mentre vi assiste. L’artista che le ha dipinte negli anni 80 è Annette Barcelo, pittrice svizzera nata nel 1943, che per lungo tempo è rimasta quasi sconosciuta al di fuori dei confini nazionali e da qualche anno sta vivendo una fase di riscoperta, che ha portato anche a importanti esposizioni monografiche. I suoi quadri sono abitati da una miriade di figure animali e ibride, come in una sorta di bestiario fantastico privato emerso dalla sua immaginazione. Se guardiamo con attenzione però notiamo che fra loro compaiono spesso figure femminili totalmente spersonalizzate. Queste sorte di archetipi femminili sono come le maschere per una grande rappresentazione teatrale della vita della donna, in cui troviamo scene di nascita, morte, rituali e rapporti sessuali. In una serie realizzata fra 1987 e 1989 le protagoniste dei quadri sono poste a contatto con l’acqua, elemento generatore, protettore e purificatore. Spesso esse sono rappresentate nude, all’interno di barche o nell’atto di fare il bagno in una vasca. Questi contenitori sembrano richiamare baccelli, gusci o uteri. Lavorando su un’iconografia antica, associata per secoli al voyerismo o all’idealizzazione dell’igiene femminile, Barcelo sembra riflettere sulla condizione ambigua di questo immaginario. Nonostante si trovino in spazi apparentemente intimi e rassicuranti, circondate da un’acqua che è fonte di purezza e protezione, come una specie di liquido amniotico, queste donne vivono una dimensione d’inquietudine. Le loro paure, nel momento della solitudine e della nudità, sembrano emergere in forma di animali mostruosi, predatori, che le osservano in modo famelico come se fossero in attesa. Quello di Barcelo è un lavoro contemporaneamente psicoanalitico e politico, nel quale mito, uomo e mostro si incrociano scambiandosi ripetutamente i ruoli. Il gesto pittorico e la gamma di colori si rifanno alla pittura espressionista e all’art brut, producendo immagini che ci inglobano in una condizione di pericolo e precarietà, instillando in noi la sensazione di essere autori di un sogno a occhi aperti che troppo spesso assume i contorni di un incubo. L’immaginazione però non fa altro che tessere i fili di una condizione esistenziale reale, tanto privata quanto condivisa. Siamo quasi al termine del percorso. La nostra ultima tappa sarà la galleria Clima. La troviamo sul corridoio rosa A, al numero 15. Metti in pausa il tuo player e schiaccia play quando sarai lì.
Il rapporto fertile, talvolta ambiguo, fra realtà e immaginazione, è alla base delle ricerche pittoriche di due artisti presentati in fiera dalla galleria Clima, aperta nel 2016, che da circa un anno ha trovato nuova sede nel cortile di un palazzo storico di Porta Venezia, a Milano. Qui incontriamo i lavori di Valerio Nicolai, nato a Gorizia nel 1988, ma residente a Milano, e della newyorkese Justine Neuberger, classe 1993. Nicolai lavora su tecniche diverse, che comprendono anche la scultura e l’installazione, come dimostrano le irriconoscibili matrioske realizzate durante la residenza romana presso Smart o la gigantesca fragola abitata da un pirata esposta alla Quadriennale del 2020. Il medium d’elezione dell’artista, tuttavia, è e resta la pittura. Nei suoi quadri convivono elementi diversi, che sovente si propongono a noi con tratti paradossali. Spesso l’artista parte da oggetti e situazioni a noi estremamente familiari, come mobili ed elettrodomestici, ma anche pubblicità ed espressioni colloquiali. Questi elementi quotidiani, spesso ritenuti banali e ricorrenti, diventano nella mente dell’artista spunti per immaginarne trasfigurazioni e possibilità inedite. In modo ironico, anche se sempre colto, l’artista dona nuova attenzione all’ordinario utilizzando uno sguardo diverso, che da un punto di vista laterale, attraverso il ricorso ad associazioni e riferimenti, riesce a fondere l’apparenza formale con una rifunzionalizzazione spiazzante. Le dimensioni si alterano e ovunque si nasconde l’imprevisto. Attraverso i suoi occhi scopriamo che anche un elemento secondario, insignificante, può celare in sé il sublime: le venature del prosciutto diventano fulmini di una tempesta romantica, i mobili si ergono come architetture e piccoli mucchietti di cotone sul pavimento evocano grandi nuvole. Le sue opere riportano alla mente, pur senza citazioni dirette, quei maestri di un secolo fa che per primi avevano guardato la natura e gli oggetti scorgendovi la possibilità di una vita segreta, come De Chirico e Savinio. E non è un caso che lo stesso artista sia affezionato al grande Max Ernst. Tuttavia il suo repertorio si mostra a noi allo stesso tempo più ampio e sottile, più libero grazie alla volubilità dell’ispirazione: egli ama -come ammette lui stesso – guardare cose a caso e lavorare con ciò che ha sottomano. Il rapporto che instaura con la realtà quotidiana è lo stesso che si configura con la lettura dei classici: li si approccia come qualcosa di universale e cristallizzato, ma nel momento in cui ce ne appropriamo sono il nostro stato emotivo e la nostra immaginazione a dar loro nuova luce e nuova vita. L’incontro fra la dimensione personale, immaginifica, e l’esperienza contemporanea è il punto di partenza anche della ricerca pittorica di Neuberger. In questo caso però la realtà viene scardinata e demolita dalle continue irruzioni di figure che sembrano emergere dalla nostra dimensione interiore. Bambini, acrobati, giullari e scheletri abitano le tele convivendo con automobili, pentole e palazzi moderni. Lo spazio della figurazione si fa indistinto, oggetti e personaggi non rispondono più alle leggi della prospettiva e delle proporzioni. Sembra quasi che una situazione apparentemente normale abbia evocato nostalgie, speranze e paure e che queste si siano materializzate davanti a noi, scombinando i nostri punti di riferimento e sospendendo la dimensione temporale. Una scintilla sembra risvegliare figure del folklore legate all’educazione ebraica tradizionale ricevuta dall’artista, inducendoci a ricordare i lavori di Chagall. Tuttavia il misticismo erudito e l’uso morbido, quasi fumoso dei colori sembra proiettarci nelle visioni di un Odilon Redon alle prese con il ventesimo secolo. Il nostro percorso è terminato. Speriamo che ti abbia stimolato e incuriosito. Se vuoi un altro punto di vista sulla fiera, torna all’info point o sulla landing page delle AudioGuide e seleziona un altro podcast! A presto e buona Artissima!