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Percorso 04
Uno sguardo sullo stato della pittura internazionale, fra figura e astrazione. L’esplorazione di un ritorno di fortuna, tra critica e mercato. L’opportunità di soffermarsi sul senso contemporaneo di un genere plurisecolare, ponendo attenzione a colore, tecnica, ispirazioni e linguaggi.
Tappa 01
Back To The Future BTTF 1
2.45
Tappa 02
Disegni DS 6
5.32
Tappa 03
Present Future PF 7
7.39
Tappa 04
Corridoio Rosa B 14
10.08
Tappa 05
Corridoio Blu 14
12.10
Tappa 06
Corridoio Arancione 9
15.11
Tappa 01
Back To The Future BTTF 1
2.45
Tappa 02
Disegni DS 6
5.32
Tappa 03
Present Future PF 7
7.39
Tappa 04
Corridoio Rosa B 14
10.08
Tappa 05
Corridoio Blu 14
12.10
Tappa 06
Corridoio Arancione 9
15.11
Buongiorno! Ti diamo il benvenuto ad Artissima 2023. Questo è il progetto AudioGuide e stai ascoltando il percorso numero 4 intitolato Pinxit e dedicato allo stato della pittura internazionale. Già nella preistoria la pittura era presente nelle culture di tutto il mondo, poiché sin dal principio l’uomo ha sentito la necessità di lasciare traccia di sé e la tecnica pittorica è stata la forma artistica più accessibile ed immediata allo scopo. Nel tempo ha acquisito incredibile fortuna, anche in termini di critica e di mercato, e ancora oggi occupa uno spazio consistente nel sistema dell’arte contemporanea. Nel Trattato della Pittura Leonardo da Vinci scrive che fra le scienze la pittura «è la prima; questa non s'insegna a chi natura nol concede, come fan le matematiche […]. Questa non si copia, come si fa le lettere [...] questa non s'impronta, come si fa la scultura [...] questa non fa infiniti figliuoli come fa i libri stampati; questa sola si resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e non partorisce mai figliuoli uguali a sé». Queste parole risultano credibili anche oggi: non è sufficiente pensare alla pittura come meccanica apposizione di colore a un disegno. In passato è sempre stata considerata “prima tra le arti” poiché poneva l’attenzione su problemi più complessi – gli stessi su cui ci si interroga ancora nel presente – come la resa del colore, le variazioni di tono, lo studio di luci ed ombre, l'illusione di spazi naturalistici, la ricchezza della tecnica, sempre più contaminata dall’introduzione di nuovi materiali. Insieme avremo modo di soffermarci sul senso di questo genere plurisecolare, ancora vivo nel contemporaneo, sia nelle sue forme più tradizionali sia inteso come campo di sperimentazione tecnica, tra figurativo e astrazione, ponendo attenzione anche a ispirazioni e linguaggi. Le audioguide sono state sviluppate per Artissima dalle mediatrici e dai mediatori di Arteco. Questo percorso è stato curato da Martina Furno. Siamo pronti per partire. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Lilia Ben Salah che si trova nella sezione Back to the Future al numero 1 sul corridoio bianco, dove cominceremo il nostro tour. Schiaccia play una volta che sarai lì.
Iniziamo in nostro percorso dalla galleria Lilia Ben Salah di Parigi, che per la sezione curata Back To The Future presenta l’artista Inji Efflatoun, autorevole pittrice femminista di origini egiziane vissuta tra il 1924 e il 1989. Cresciuta da una madre single nell’ambiente dell'aristocrazia francofona del Cairo, Inji Efflatoun ha partecipato in gioventù ai circoli marxisti, avvicinandosi alla corrente più politicizzata del surrealismo. È stata una delle prime donne a studiare arte all'Università del Cairo e a condurre diverse campagne per l'uguaglianza di genere in Egitto e in Europa. Nel 1959 è stata incarcerata per quattro anni e mezzo a causa del suo attivismo all’interno del partito comunista egiziano. Se prima di questo periodo la sua pittura si appoggiava sul bisogno di conoscere la storia e il folklore del suo Paese, in prigione si concentra su una rappresentazione più cruda ed esplicita della condizione umana, del duro sforzo fisico dei contadini e della classe operaia, della lotta contro l’imperialismo e dell’affermazione del ruolo delle donne nella vita nazionale. Il realismo sociale di questi anni si stempera piano piano al suo rilascio. Una volta liberata, infatti, sposta la sua attenzione su una visione rinnovata del mondo, caratterizzata dalla contemplazione di una natura semplice e incontaminata, di cui non aveva potuto godere durante la prigionia. Anche lo stile si fa più lirico, come testimoniano le opere presenti in fiera, in cui le figure sono ridotte all’osso, delimitate da contorni netti e morbidi, e le pennellate si dissolvono – al limite dell’astrattismo – su una tela bianca in cui gli spazi vuoti diventano espediente per esprimere la luce. La linea spessa, materica e ondulata diventa protagonista insieme ai colori accesi e vibranti, perché così l’artista concepiva i suoi dipinti, per «vibrare di vita». Nella prefazione al catalogo di una mostra del 1964, il francese Jean Lurçat riassunse così la poetica dell’artista: «Non ascolta altro se non la voce egiziana che costituisce la sua profonda eredità. Quel suono è il suono del deserto, del Nilo, ed è l’orizzonte della sua anima che brucia». Abbiamo terminato la nostra prima tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Ani Molnar nella sezione Disegni al numero 6. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora di fronte alla galleria Ani Molnar, nella sezione curata Disegni, dove è proposta al pubblico l’opera del bosniaco Radenko Milak, che combina l’immagine fotografica con la narrazione pittorica. «La mia pratica artistica è sempre stata fortemente influenzata dall'idea che il nostro rapporto con il mondo e la sua storia sia in gran parte determinato dal flusso ininterrotto e continuo di immagini» afferma l’artista. Le sue opere, infatti, problematizzano il rapporto dell’uomo con le immagini trasmesse dai media e quello scarto tra la percezione più autentica della realtà e gli scatti fotografici della stampa internazionale, che hanno un impatto sul nostro inconscio collettivo. La quotidianità viene presentata come una pellicola cinematografica, in un infinito scorrere di immagini che al primo sguardo possono ricordare dei fotogrammi. Se ci avviciniamo, però, le pennellate acquose caratteristiche degli acquerelli e il gioco di trasparenze rivelano la sua abilità artistica. I toni morbidi del bianco e del nero trasformano fotografie provenienti dalla carta stampata e da Internet in narrazioni pittoriche più intime, prediligendo gli scenari urbani e dei grandi condomini anonimi, che vibrano di solitudine e assenze. Come un cronista del presente, Milak affronta importanti questioni contemporanee – la crisi ambientale, la pandemia di COVID-19, i progetti NASA – dove la realtà viene ridotta all’essenza, con l’obiettivo di rafforzare il messaggio dell’immagine originale e stimolare lo spettatore a rivalutare storie dimenticate o invisibili. Abbiamo terminato la nostra seconda tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Federico Vavassori nella sezione Present Future al numero 7 sul corridoio nero. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora nella sezione curata Present Future davanti alla galleria Federico Vavassori di Milano, che presenta il lavoro dell’artista siriano Osama Alrayyan, classe 1995, oggi attivo a Basilea. Nei suoi dipinti, tra figurazione ed astrazione, è la solitudine dei personaggi ad essere al centro, mentre sullo sfondo si scorgono paesaggi compendiari, appena abbozzati. Sono le campiture piene a costruire le forme dei volti, degli sguardi assenti, che raccontano un’umanità distante e vicina al tempo stesso. Non sempre i confini tra figura e sfondo sono ben definiti, le forme sembrano sovrapporsi, talvolta compenetrarsi. A proposito della sua pratica l’artista dichiara di tornare ripetutamente sullo stesso soggetto, lo ridipinge più volte quasi a voler dare la sensazione che ci siano molti strati. E la resa finale ne evidenzia a pieno il mistero o la favola: dietro alla leggerezza di queste figure fluttuanti, uomini e donne come tanti – spesso ispirati ai grandi nomi di Goya, Daumier e Velázquez – si nasconde una tensione quasi malinconica, una realtà vissuta e non sempre nelle condizioni più confortevoli. Persino la scelta cromatica ce lo suggerisce: l’artista gioca con i contrasti tra colori complementari, rossi e verdi che raggiungono tonalità a tratti stridenti. La pittura diventa qui un velo di Maya, che nasconde dietro ad un codice visivo fatto di velature sovrapposte, di impasti di colore, di gradazioni tonali, un racconto più profondo, a tratti logorante. E forse, se guardiamo con attenzione, potremmo dire che il racconto di Alrayyan è quello di un mondo rassicurante che poi così rassicurante non è, fatto di contrasti cromatici e bordi sfumati, di esperienze nude e crude, di un tempo che come una spada ci ferisce se non siamo noi a ferirlo per primi, come lo stesso artista afferma nel titolo di una delle opere, "Time is like a sword if you don't cut it cuts you". Abbiamo terminato la nostra terza tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Barbati di Venezia sul corridoio rosa B al numero 14. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo nella sezione New Entries, di fronte alla galleria Barbati di Venezia che presenta una selezione di dipinti di Michael Lombardo, giovane artista statunitense oggi attivo a Los Angeles. Il gruppo di opere presentate in fiera, tutte di piccole dimensioni, raffigurano nature morte composte da oggetti quotidiani raccolti dall’artista stesso. Sono oggetti dal valore sentimentale, legati alla sua infanzia in Oklahoma o a periodi di cambiamento della sua vita, che rappresentano i suoi interessi e ne definiscono l’identità. Questi dialogano con la superficie del quadro, di lino teso e tela, su cui l’artista ama intervenire aggiungendo alla pittura materiali non convenzionali macinati, come lo sporco raccolto dalla sua casa d'infanzia o scarti di legno di quercia rossa. L’aggiunta di questi materiali sembra voler distorcere le immagini, a simulare l’effetto di un ricordo che nel tempo diventa sempre più sfumato. L’artista dichiara, infatti, di volere che tutti questi dipinti abbiano peso e specificità in termini di visione, nel modo in cui sono realizzati, ma anche un senso di distorsione o di distacco. Tra incertezza semantica e concretezza delle forme, lo spettatore si trova di fronte ad un’immagine reale, dove oggetti e superfici dialogano tra loro e fondono le proprie caratteristiche di luce e texture. Sta a chi osserva trovare le corrispondenze visive tra i bagliori degli strass e una goccia di rugiada al mattino, tra la luce radente sulle increspature di una camicia di seta e la superficie rifrangente di un vecchio cartello stradale. Abbiamo terminato la nostra quarta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Crone, sul corridoio blu al numero 14. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Siamo giunti alla Galleria Crone di Vienna, che per la sezione Monologue/Dialogue propone un dialogo tra l'artista polacco Józef Jarema e lo scultore franco-tedesco Jean (Hans) Arp. Entrambi attivi negli anni Quaranta e Cinquanta, hanno esposto insieme, organizzato collaborazioni artistiche transnazionali, scritto opere letterarie e si sono impegnati nella ricerca di un linguaggio visivo universalmente astratto, lontano dagli orrori e dalle tragedie dei due conflitti mondiali. È sul primo, tuttavia, che focalizzeremo la nostra attenzione. Józef Jarema, nasce nel 1900 nella Galizia austriaca (oggi Ucraina). Nel 1918 si trasferisce a Cracovia, dove studia pittura, e nel 1924 a Parigi, dove frequenta gli ambienti artistici di Louis Aragon. Nel 1931 ritorna a Cracovia e fonda prima la rivista «Glos Plastyków» e poi il leggendario teatro d'avanguardia Cricot, per il quale scrive opere sperimentali. Con l’invasione tedesca della Polonia, nel 1939, si arruola nell’esercito e partecipa al secondo conflitto mondiale, riuscendo tuttavia a portare avanti la sua carriera artistica. Terminata la guerra si trasferisce a Roma e insieme al futurista Enrico Prampolini fonda, nel 1945, l'Art Club, associazione di intellettuali desiderosi fare rete con artisti d'avanguardia provenienti da tutto il mondo, «una casa comune» come la definisce Jarema stesso «per la libertà di pensiero, parole, immagini, speranze e sensi». Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, l’associazione promuove l’organizzazione di mostre esemplari e la pubblicazione di libri stranieri d’arte e d’architettura, dando spazio a giovani pittori e scultori che in seguito si sarebbero affermati pienamente, il tutto con pochi mezzi, con infinita forza di volontà e in piena autonomia. Alle mostre partecipano principalmente artisti astrattisti, pittori e scultori costruttivisti, tra cui Jean Arp, Sonia Delaunay, Max Bill, Giorgio de Chirico, Constantin Brancuși e Lucio Fontana, ma anche Pablo Picasso e Marc Chagall. I lavori di Jarema sono l’esito di questa incredibile esperienza. Nelle sue opere, di natura astratta, traduce forme naturali e organiche in forme pure dai colori vividi, tuttavia lasciando loro la propria autenticità e rivelandone la propria essenza più profonda attraverso uno stile pittorico intuitivo e gestuale. Abbiamo terminato la nostra quinta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Whatiftheworld, sul corridoio arancione al numero 9. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Siamo quasi giunti alla fine del nostro tour, che concludiamo di fronte ai lavori di Pierre Vermeulen, giovane artista sudafricano in mostra nella Main Section, presso la galleria Whatiftheworld di Città del Capo. La galleria presenta un gruppo di artisti con una forte attenzione alla materialità dei mezzi espressivi in relazione alla natura e al corpo. La pratica di Pierre Vermeulen, per esempio, affonda le sue radici nei rituali di meditazione. Qui la tecnica pittorica, nella sua accezione più tradizionale, subisce una contaminazione del tutto nuova e sperimentale: le sue opere sono, infatti, caratterizzate dall’uso della foglia d'oro applicata sulla superficie di lino, combinata a sudore e orchidee intrecciate con capelli umani. Sfruttando il rapporto corrosivo tra i materiali, quasi come in un processo alchemico, l’artista ha sviluppato una tecnica per creare impronte ossidate sulla superficie della foglia d’oro. Le stampe dell’orchidea, figure antropomorfe simbolo di fertilità e desiderio, sono posizionate sulla superficie dipinta in maniera solo apparentemente casuale. I fiori sembrano, inizialmente, fluttuare nello spazio, ma piano piano assumono forme più strutturate, avanzando in movimenti incrociati. Il desiderio diventa, quindi, energia pulsante che danza sulla tela: dentro e fuori, a destra e a sinistra, senza un inizio o una fine. Abbiamo terminato la nostra sesta e ultima tappa. Speriamo che questo percorso ti abbia stimolato e incuriosito. Se vuoi un altro punto di vista sulla fiera, torna all’info point o sulla landing page delle AudioGuide e seleziona un altro percorso! A presto e buona Artissima!