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Percorso 02
L’essere umano come centro e motore di relazioni, dallo spazio intimo alle connessioni con gli ecosistemi socio-culturali e naturali, passando attraverso intrecci, alternanze e contrapposizioni, alla ricerca di nuove modalità e possibilità di cura.
Tappa 01
Corridoio Fucsia 9
1.51
Tappa 02
Corridoio Giallo 11
4.25
Tappa 03
Present Future PF 6
7.24
Tappa 04
Present Future PF 3
10.57
Tappa 05
Back To The Future BTTF 7
14.34
Tappa 06
Disegni DS 3
17.40
Tappa 01
Corridoio Fucsia 9
1.51
Tappa 02
Corridoio Giallo 11
4.25
Tappa 03
Present Future PF 6
7.24
Tappa 04
Present Future PF 3
10.57
Tappa 05
Back To The Future BTTF 7
14.34
Tappa 06
Disegni DS 3
17.40
Buongiorno! Ti diamo il benvenuto ad Artissima 2023. Questo è il progetto AudioGuide e stai ascoltando il percorso numero 2, intitolato Lo spazio della relazione. Il tema scelto da Luigi Fassi per questa trentesima edizione di Artissima, è Relations of Care. In questo percorso attraversiamo una selezione di sei gallerie. La ricerca di artiste e artisti che andiamo a conoscere danno spazio alle connessioni tra essere umano ed ecosistemi. Opere che parlano di esperienza vissuta mediante tecniche molto diverse tra loro. Il percorso si snoda a partire da pratiche più intimiste, per aprirsi man mano verso altro da sé. Incontreremo temi onirici, autoritratti metafisici ma anche linguaggi mediati dall’intelligenza artificiale, teorie postumane che complicano l’antropocentrismo, manifesti di militanza femminista e vicende di riappropriazione territoriale. Opere che chiedono di prendere posizione, di metterci in relazione, appunto, in dialogo con nuove possibilità e visioni. Tutte queste connessioni rispondono in modo eterogeneo al tema di questa Artissima 2023. Ci parlano in modo peculiare della contemporaneità che viviamo, in un contesto che promuove una molteplicità di visioni. Le audioguide sono state sviluppate per Artissima dalle mediatrici e dai mediatori di Arteco. Questo percorso è stato curato da Valentina Roselli. Siamo pronti per partire. La prima tappa sarà la galleria The Address sul corridoio fucsia al numero 9 dove cominceremo il nostro tour. Schiaccia play una volta che sarai lì.
La prima tappa del nostro percorso ci porta alla sezione Monologue/Dialogue, presso la galleria bresciana The Address. Qui incontriamo il lavoro dell’artista Giuliana Rosso, che recentemente si è aggiudicata il Premio Cairo con l’opera “Stiamo bene negli acquitrini”, ed è attualmente parte della grande mostra collettiva “Pittura italiana oggi” presso la Triennale di Milano. Lo stand in fiera è curato da Treti Galaxie, che segue l’artista a partire dai suoi esordi. Formata presso l’Accademia Albertina di Torino, Giuliana Rosso è una pittrice che utilizza gesso, carboncino, carta da spolvero e cartapesta per esplorare l'intersezione tra disegno e scultura. Spesso troviamo velature di carboncino e gessetti che raggiungono una qualità al pari della pittura, un aspetto ambiguo e misterioso che amplifica il significato dell’opera. Nei lavori di Giuliana Rosso avvertiamo l'inquietudine e l'indeterminatezza dell'adolescenza, di periodi di vita non vissuti o di sensazioni fuori luogo, tra l’urgenza e la cupezza di un mondo in sospensione. Al tema dell’adolescenza non attribuisce un’accezione nostalgica, si concentra piuttosto sulla fragilità dell’incertezza che questa fase della vita porta con sé. I soggetti appaiono sempre ritratti in situazioni di transitorietà. Sono mondi onirici ma mai astratti, i soggetti sono figurativi con matrice espressionista e rispecchiano uno stato di smarrimento. I suoi lavori invadono lo spazio espositivo celebrando anche la fragilità degli esseri umani nell’interazione con le altre specie; opere ambientali, sempre al limite tra gravità e leggerezza. Il senso della relazione è incarnato anche dalla struttura scelta, in questo caso l’angolo: che è sì il limite di una stanza ma è anche luogo di nascita e di incontro, d’ombra e di fantasticheria. Lo spazio si trasforma in uno scenario in cui si materializzano eventi enigmatici; tutto permette di stabilire una comunicazione più diretta e profonda con chi guarda, liberando la percezione da logiche di causa ed effetto. Abbiamo terminato la nostra prima tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Ciaccia Levi sul corridoio giallo al numero 11. Schiaccia play una volta che sarai lì.
La seconda tappa ci porta alla galleria Ciaccia Levi, fondata a Parigi nel 2013 con un taglio transgenerazionale. L’artista che andiamo a conoscere, incuriosisce i galleristi ancor prima dell’apertura della galleria per la profonda conoscenza della storia dell'arte che traspare dalle sue opere. Stiamo parlando di Francesco Gennari, che a un passo dalla laurea in Giurisprudenza abbandona gli studi per dedicarsi assiduamente all’approfondimento di alcuni rami della filosofia, in particolare Nietzsche e Schopenhauer, che influenzeranno gli sviluppi del suo lavoro da artista autodidatta. Nel 1995 scrive su un foglio bianco “Io Sono Francesco Gennari”, inizia così un percorso artistico, dedito al concetto di “identità” e di autodefinizione. Il motore dell'intera ricerca di Gennari risiede nella volontà di affermare sé stesso mediante una costellazione di autoritratti in cui convivono dramma e ironia. L’artista non ha regole fisse, oscilla in modo armonico, ambiguo e contraddittorio tra varie impostazioni plastiche con grande agilità nello sperimentare nuovi linguaggi. Tutte le opere di Gennari partono da un'idea in cui ogni essere umano può riconoscersi. Lui poi, cerca il materiale e la forma per rendere fisica questa idea. Per il suo stile asciutto, viene spesso considerato minimalista, ma una volta decifrato il codice emotivo dei suoi lavori, questa fredda definizione risulta scivolosa. Qui abbiamo la possibilità di conoscerlo attraverso opere che ci parlano di relazione in modo molto diverso tra loro: le prime sono due sculture a terra intitolate “Comunque stiamo bene insieme”: coppie di tubi color pastello in ceramica smaltata. Con queste sculture ci parla di due stati d'animo, due toni, due persone, due soggetti qualsiasi, legati solo dall'idea di stare bene insieme. A parete invece troviamo una recente intitolata “Autoritratto in un rapporto sadico con il Sole”, i toni cupi ed enigmatici sono in perfetta coerenza con il forte tratto autobiografico tipico delle sue opere. In questi giorni è possibile scoprire un’altra scultura di Francesco Gennari presso Palazzo Perrone di San Martino, sede della Fondazione CRT, per il progetto "Dove finiscono le tracce" curato da Luigi Fassi, un progetto dislocato in cinque sedi storiche che dà spazio alla soggettività degli artisti così come alla storia culturale del territorio. Abbiamo terminato la nostra seconda tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Esther Schipper nella sezione Present Future, sul lato del corridoio nero, al numero 10. Schiaccia play una volta che sarai lì.
La terza tappa del nostro percorso ci porta alla sezione Present Future, presso la Galleria Esther Schipper, fondata a Berlino nel 1990, che si distingue per la sua ricerca innovativa. Cemile Sahin, la giovane artista che andiamo a conoscere, proprio quest’anno è stata proclamata vincitrice del Circa Prize 2023, con una cerimonia svoltasi in diretta sulle Piccadilly Lights di Londra, un premio che sostiene la prossima generazione di talenti creativi a livello globale. Ha vinto con un film che racconta la storia di una famiglia curda divisa tra Parigi e Istanbul: come la loro vita sia stata influenzata dalla costruzione di una diga che ha distrutto le comunità delle regioni curde della Turchia. Cemile Sahin è anche una talentuosa scrittrice. La parola è uno tra gli elementi cardine del suo lavoro. Le sue storie non convenzionali traggono sempre spunto dalle sue radici frammentate, portando a galla i contrasti di una giovane donna curda alevita di seconda generazione che cresce in Germania. Sfida le convenzioni affrontando temi legati all'identità, alla migrazione, alla memoria e alla percezione umana. Il progetto sviluppato per Artissima è spiazzante, difficilmente lascia indifferenti. Si intitola Simple Things ed è molto articolato. Principalmente si basa sulla ricerca delle classificazioni applicate ai fuorilegge. L’attenzione dell’artista si basa sulle modalità di glorificazione del crimine che compaiono su alcune pagine social, elevando i criminali a figure ispiratrici. Partendo da questa indagine, l’artista decide di mettersi in relazione con l’intelligenza artificiale, nutrendola di una serie di informazioni come: un ladro che fugge, un inseguimento di polizia e così via. Immagini che troviamo lungo i pannelli dello stand elaborate artificialmente secondo le sue istruzioni. Posizionato all’angolo tra le due pareti abbiamo uno schermo che mostra video acquisiti da telecamere di sicurezza: immagini reali sempre legate al crimine, accompagnate da citazioni di celebri film come Il padrino e Scarface. Infine, le recentissime opere a forma di cuore, svelano immagini di automobili chiassose, ancora una volta realizzate dall’intelligenza artificiale, le quali mostrano però i limiti di decodificazione. Apparentemente sembrano dettagli fotografici ma a ben guardare si scorgono degli errori, ad esempio, i pulsanti del volante sembrano dei simboli geroglifici. La frase intorno strizza l’occhio al linguaggio social, che più risulta immediato, efficace ed incisivo, più ha chance di arrivare ad un successo capillare. Frasi semplici ed evocative; da qui il titolo dell’opera: Simple Things. Sahin nella sua ricerca parte dalla relazione con le proprie origini e i suoi contrasti biopolitici per approdare agli scomodi codici visivi contemporanei, aperti a molteplici interpretazioni. Il prossimo step dell’artista sarà sul futuro dei meccanismi di sorveglianza. Abbiamo terminato la nostra quarta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria VON&VON, sempre nella sezione Present Future, al numero 3. Schiaccia play una volta che sarai lì.
La quarta tappa del nostro percorso continua su Present Future, presso la galleria VON&VON con sede nel centro di Norimberga. L’artista che andiamo a conoscere è Sophia Mainka, nata a Monaco nel 1990, attualmente in residenza presso la Cité internazionale delle Arti di Parigi. La sua pratica si muove su diversi media, dal disegno, alla scultura e al video, che solitamente combina in grandi installazioni. Sophia Mainka altera gli oggetti di uso quotidiano in un flusso incessante di nuove interpretazioni. La sua pratica favorisce nuove forme di comprensione della realtà, consentendo una coesistenza interspecie in un’era apparentemente postumana. Nella ricerca di quest’artista, la materialità e il design risuonano sia come l’analisi di un'estetica borghese, sia come un'esplorazione scultorea. Il confine tra spazio interno e spazio pubblico diventa un’indagine sui processi politici, sociali, identitari. Le sue sculture ricordano oggetti familiari, ma negano la loro stessa funzione. Rifacendosi alle ricerche sull'Antropocene di Rosi Braidotti, l’artista elabora un compendio intrigante e provocatorio di opere intitolate "Habit Loss" e "Trophées". Lo sforzo sta nello sciogliere il dualismo tra essere umano e ambiente, in un’ottica post-antropocentrica appunto. L'essere umano è inteso come una specie biologica all’interno di una comunità globale. In "Habit Loss 1" la scultura, dalle sembianze leonine, diventa una creatura di fantasia con le zampe in ceramica. Ci si imbatte in una natura addomesticata, o umanizzata. In "Habit Loss 2" si vede una famiglia che si prepara a mangiare le lumache, vengono acquistate in scatola, poi rimesse nei gusci per essere preparate e consumate. Anche gli oggetti alati attaccati all'esterno, trasformano la scultura in una creatura vivente. In entrambi casi, il motivo floreale fa riferimento alla natura asservita a mero elemento decorativo di interni. A parete invece troviamo una serie composta da cinque "Trophées". L’artista affronta così il tema del trofeo e il rapporto tra essere umano e mondo animale nell’ambito della caccia, un atto di dominio che appartiene ad una dimensione maschile e muscolare. Da qui, la ricerca di una controparte puramente femminile che si configura nell’atto del cucire. Mentre la caccia ci porta all’idea di forza e velocità, il cucito ci parla di qualità e attenzione al dettaglio. Intravediamo elementi in vera pelle, quindi di origine animale, accompagnati agli ornamenti floreali e naturali tipici della tradizione tessile. Creando un mix ambivalente, l’artista segna il tentativo da un lato di riflettere su diversi approcci di genere, dall’altro evidenzia una natura soggiogata, che approda, addomesticata, in casa. L’artista si interroga sul significato di trofeo al giorno d’oggi. È ancora questa l’idea di valore che cerchiamo nell’era post antropocentrica? Che aspetto potrebbe avere allora un trofeo che celebra l’empatia nella società? Abbiamo terminato la nostra quarta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria ChertLudde nella sezione Back to the Future al numero 7. Schiaccia play una volta che sarai lì.
La quinta tappa del nostro percorso ci porta alla sezione Back to the Future, presso la Galleria ChertLüdde, punto di riferimento nella scena artistica contemporanea di Berlino e oltre. L’artista su cui ci concentriamo è Clemen Parrocchetti, celebrata dalla galleria stessa con la prima mostra fuori dall'Italia dopo la sua morte, avvenuta nel 2016. Clemen Parrocchetti nasce nel 1923 a Milano, si forma all'Accademia di Brera quando è già madre di cinque figli. A partire dai primi anni Settanta, Parrocchetti esprime la sua nascente voce femminista in opere che definisce "oggetti di cultura femminile" e che espone in spazi artistici alternativi a Milano. La scelta di frequentare l’Accademia, preannunciata nelle pagine dei suoi diari, è descritta soprattutto come una necessità interiore, quasi un gesto di sfida verso ciò che la sua nobile estrazione sociale le imponeva. Parrocchetti trova la sua grammatica visiva nei materiali del lavoro domestico - aghi, spole, merletti, utensili da cucina, medicinali, tessuti - che vengono da lei trasformati in strumenti sovversivi di denuncia e protesta. L'opera di Parrocchetti parla delle lotte da parte delle donne per la parità salariale, le leggi sul divorzio e il diritto all'aborto, temi che rimangono al centro del dibattito politico dopo quasi mezzo secolo. Nel 1978 entra a far parte del Gruppo Immagine di Varese, pioniere del connubio tra arte e militanza femminista, con cui partecipa alla Biennale di Venezia del 1978. Il gruppo si è sciolto a metà degli anni Ottanta ma Parrocchetti ha perseguito un'etica femminista per oltre cinquant’anni. Troviamo nelle sue opere una rinuncia alla cornice convenzionale, criticando e contestando la sottomissione e l'oggettivazione della donna all'interno dei confini della vita domestica. Il titolo di ogni opera, che risuona ancora oggi, è uno slogan di protesta: "Liberazione", "Torturata e repressa", "Fuori dal ghetto accerchiato", "Riemergere", "La mia rabbia la mia forza". Opere degli anni 70 pregne di Militanza artigianale, tradotto dal titolo della mostra a lei dedicata quest’anno, Handmade Militancy appunto, a cura di Sofia Gotti e Caterina Iaquinta a Berlino. In risonanza con l’artista della tappa precedente, notiamo una riconsiderazione del rapporto tra arte e tessile nell’attività artistica femminile come un tema di rilievo: questa pratica, essendo stata intaccata in minima parte dalla tradizione artistica patriarcale, è in grado di riscattare una relazione autonoma e potente tra l’arte e il fare artistico femminile. Abbiamo terminato la nostra quinta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria KOW nella sezione Disegni al numero 3. Schiaccia play una volta che sarai lì.
Eccoci all’ultima tappa del nostro percorso. Ci troviamo alla sezione Disegni, l’unica tra le fiere italiane dedicata a questo mezzo espressivo. Il disegno è una fase del processo artistico tanto autentica quanto delicata, forse quella più libera da filtri. Ci concentriamo sul progetto della galleria berlinese KOW. Il nome del collettivo rappresentato è CATPC, nato in Congo a Lusanga nel 2014. La sigla sta per Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise. Si può dire che questo collettivo abbia inventato un modello economico ed ecologico. Infatti, attraverso la vendita delle loro opere d’arte, i membri del collettivo, composto non solo da artisti, contribuiscono all’acquisto delle terre confiscate da Unilever, colosso creato nel 1930 dalla fusione di due produttori alimentari, i quali hanno fondato le loro ricchezze su schiavitù e appropriazione di terreni ancora oggi reclamati dalle comunità locali. Il collettivo apre così la strada ad un’era post-piantagione. Nell’arco di nove anni sono stati recuperati centoventi ettari di suolo esaurito, poi ricoltivato per dare sostentamento alla comunità di Lusanga, rigenerando così l’ecosistema circostante. I disegni inediti che vediamo, sono stati creati da tre membri del gruppo. Tre stili diversi che diventano espressione e denuncia dei disastri del colonialismo. Nonostante i segni grafici evochino violenza e dolore, l’intero progetto ci restituisce speranza, con profondità espressiva sentita e spirituale. Lo scopo del collettivo, oltre alla riappropriazione delle loro terre, si orienta ad attivare rapporti più equi tra arte, economia ed ecologia. Dalla sua fondazione nel 2014, CATPC ha lavorato instancabilmente per realizzare varie opere d’arte, tra cui sculture in argilla che vengono scansionate e stampate in 3D in Europa, utilizzando materiali come cioccolato, olio di palma o zucchero, provenienti proprio dall’economia delle piantagioni estrattive, generando così un flusso di restituzione. Nel 2017 l’artista olandese Renzo Martens, insieme al collettivo, commissiona allo studio di architettura di Rem Koolhaas, la costruzione di White Cube, uno spazio dedicato all’arte che ha preso il posto della piantagione di olio di palma Unilever. White Cube attrae ora il capitale con l’arte, e segna una nuova era, in cui si approfondiscono sia le relazioni coloniali sia i meccanismi del mondo dell'arte, per comprenderli e modificarli. Nel 2024, il collettivo sarà protagonista del Padiglione Rietveld alla Biennale di Venezia e potrà esprimere verità che meritano di essere condivise, nella speranza di contribuire al discorso sul colonialismo nel mondo dell’arte. Abbiamo terminato la nostra sesta e ultima tappa. Speriamo che questo percorso ti abbia stimolato e incuriosito. Se vuoi un altro punto di vista sulla fiera, torna all’info point o sulla landing page delle AudioGuide e seleziona un altro percorso! A presto e buona Artissima!