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Percorso 03
Un itinerario sulla condizione post-coloniale, la repressione e lo sfruttamento delle minoranze e sull’arduo percorso della decolonizzazione culturale
Tappa 01
Corridoio Rosa A-19
Scoprila al minuto 03:04
Tappa 02
Corridoio Rosa A-11
Scoprila al minuto 06:21
Tappa 03
Corridoio Rosso 3
Scoprila al minuto 10:03
Tappa 04
Corridoio Rosso 8
Scoprila al minuto 14:12
Tappa 05
Corridoio Rosa B-10
Scoprila al minuto 20:11
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Corridoio Rosa A-19
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Corridoio Rosa A-11
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Buongiorno! Ti diamo il benvenuto ad Artissima 2022. Questo è il progetto AudioGuide e stai ascoltando il percorso numero 3 intitolato “Decolonise Ourselves” dedicato a pratiche di artiste e artisti che appartengono a diverse generazioni e tradizioni disciplinari. Si orientano su focus geografici differenti, eppure tutte le loro idee fanno eco ad un approccio decoloniale. I loro progetti portano a generare luoghi di costruzione e decostruzione del sapere, complicare narrazioni preesistenti, attraverso un approccio transculturale, transdisciplinare e transgenerazionale. Il colonialismo cambia forme e modalità di espressione, ma sopravvive in tanti altri ambiti del vivere sociale. Decolonizzare per risignificare, generare un nuovo approccio al concetto di identità e lavorare sul futuro. Poetiche e declinazioni differenti tra loro che hanno in comune l’urgenza di restituire autonomia culturale laddove esista una condizione di subordinazione, dipendenza; di colonizzazione appunto. Ogni "decolonizzazione” ha il progetto di "slegarci" dalla struttura di una conoscenza imposta e poi "ricostituire" nuovi modi di pensare, parlare e vivere. Da qui l’importanza del lavoro sulla memoria, non in termini di commemorazione ma come volontà di prendere parte al processo storico che avviene tra ricordo e amnesia. Quest’anno Artissima ci parla di Esperienza Trasformativa come possibilità di mettere in crisi le aspettative prefigurate razionalmente, aprendo prospettive verso l’ignoto. Su questa scia vediamo oggi come anche le nuove direzioni di istituzioni museali procedano verso lo slegarsi dal concetto di permanenza. Pensiamo per esempio ai musei etnografici o a quelli che vantano collezioni storiche considerate intoccabili: gli oggetti e le narrazioni al loro interno vanno “scarcerate”, rese indipendenti dalla storia che si è sempre raccontata a riguardo. Con questo approccio diventa possibile aprirsi alla natura viva della percezione, con un’attenzione filologica e pedagogica. Non è dunque questo il ruolo dell’arte? Scombinare le logiche attuali per disimparare, a volte in modo perturbante, aspirando a sbullonare, minare, decolonizzare appunto, nei suoi ideali di fissità, la nostra stessa coscienza. Io sono Valentina Roselli e ti accompagnerò in questo viaggio. Siamo pronti per partire. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Laveronica che si trova lungo il percorso Rosa A al numero 19 dove cominceremo il nostro tour. Schiaccia play una volta che sarai lì.
Ci troviamo alla galleria Laveronica sul corridoio Rosa A, numero 19. Partiamo con una galleria che sin dagli esordi ha lavorato con pratiche che indagano la condizione umana, con forte approccio alla dimensione pubblica e politica. A colpo d’occhio ti sarà chiaro perché partiamo da qui con il percorso Decolonise ourselves. Ma lo vedi il lavoro che forma un alfabeto? Si tratta del progetto dell’artista Daniela Ortiz, che solo da lontano dona un senso di serenità infantile, avvicinandosi infatti si scopre un alfabeto che propone una narrativa e un linguaggio antirazzisti molto diretti. Partiamo dalla A che, tradotto, sta per: AEREI che portano i turisti bianchi europei in vacanza sono usati per la deportazione di migranti razzializzati e richiedenti asilo. Durante le espulsioni le Autorità usano molta violenza. È come un regime di Apartheid negli Aeroporti. Recentemente, la pratica artistica della Ortiz è tornata ad una dimensione visiva e manuale, sviluppando opere d'arte in ceramica, collage e formati come libri per bambine e bambini per allontanarsi anche formalmente dall'estetica dell'arte concettuale eurocentrica. Il progetto dal titolo ABC dell’Europa razzista, del 2017, si sviluppa sotto forma di un libro per l’infanzia e di un'installazione di singole immagini che evocano le lettere che si trovano solitamente nelle aule delle scuole. C come: COLONIALISMO che ha creato le condizioni globali per avere Campi di detenzione per migranti provenienti da ex COLONIE nei paesi europei. In questo modo l’artista affronta il rapporto consequenziale tra l'attuale sistema di controllo delle migrazioni e il suo legame con i colonialismi, in cui vengono citate diverse figure della resistenza antirazzista e anticoloniale. E come: EMPIRE ECONOMY britannica costruita attraverso l'oppressione e lo Sfruttamento dei popoli M come: MEDITERRANEO, il mare dove trascorre le vacanze la classe media europea bianca, è lo stesso mare dove sono morti o scomparsi più di 50.000 MIGRANTI. Daniela Ortiz classe 1986, vive e lavora a Cusco in Perù. Esplora, in modo da comprendere criticamente e ad ampio spettro, le strutture del potere coloniale, patriarcale e capitalista così come la dinamiche giuridiche create dalle istituzioni europee per infliggere violenza a comunità razzializzate. R come: Rifiuto dei regimi neocoloniali! È ora di RIFIUTARE Regole razziste! Resisteremo con antirazzismo radicale L’artista tiene conferenze e workshop, svolge indagini e partecipa a discussioni sul sistema di controllo migratorio in Europa e sui suoi legami con la colonialità in vari contesti. Ha anche sviluppato progetti sulla classe superiore peruviana e sul suo rapporto di sfruttamento con i lavoratori domestici. Z come: Gli ZOMBI del sistema coloniale, che hanno creato conforto per se stessi e sofferenza per gli altri, meritano di essere rinchiusi in uno ZOO umano. Con l’ultima lettera dell’alfabeto abbiamo terminato la nostra prima tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria The Gallery Apart sempre sul corridoio ROSA A al numero 11. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora alla galleria romana The Gallery Apart sul corridoio rosa A al numero 11 Ci concentriamo sul collettivo Chto Delat, fondato all'inizio del 2003 a San Pietroburgo da un gruppo di artisti, critici, filosofi e scrittori con l'obiettivo di unire teoria politica, arte e attivismo. Il gruppo è stato costituito in un'azione chiamata "La rifondazione di Pietroburgo". Poco dopo, il nucleo originario, ancora senza nome, iniziò a pubblicare un giornale inglese-russo incentrato sulle questioni urgenti della politica culturale russa, in dialogo con il contesto internazionale. Chiameranno il giornale Chto Delat? (che significa Che fare?) il nome deriva infatti da un romanzo dello scrittore russo del 19° secolo Nikolay Chernyshevsky, che Lenin richiamava nella sua stessa pubblicazione, "Chto Delat?" tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902. Ricordiamo la coerenza di questo collettivo con l’azione del 2014 ritirandosi dalla partecipazione a Manifesta 10 a San Pietroburgo come protesta locale contro lo sviluppo dell'intervento militare russo in Ucraina. Questo innescò ovviamente un acceso dibattito sulla partecipazione e il boicottaggio di eventi artistici. La loro produzione si articola con una vasta gamma di media, mettendo in campo un’ampia varietà di attività culturali intente ad attivare e politicizzare la "produzione di conoscenza".. Le opere del collettivo sono caratterizzate dall'uso di effetti di alienazione, scenari surreali, seppur basati su casi di concrete lotte sociali e politiche. In occasione di Artissima 2022 The Gallery Apart li presenta con due lavori: un dittico di ricami su tessuto del 2016, che ha come elemento centrale la storia, in parte vera in parte inventata, di un ragazzo di nome Marat, nome abbastanza diffuso nelle ex repubbliche sovietiche, che gioca con l’omonimia del Marat francese, una delle voci più ascoltate dal popolo durante la rivoluzione: per capirci il protagonista del dipinto di Jacques-Louis David. Il giovane Marat di cui ci parla questo lavoro è stato ucciso da una banda di estremisti di destra mentre dava da mangiare al gatto. Nikolay Oleynikov, l’artista del collettivo Chto Delat che realizza questo tipo di lavori, prende questa vicenda come l’inizio di una storia che si modifica prendendo un’altra deriva. Quindi vediamo la prima parte del dittico che racconta il fatto reale di questa uccisione, la seconda invece fa riferimento all’ipotetica rinascita di Marat nelle vesti di una persona che danza, restituendo quindi un nuovo significato ad una tragica vicenda. Il secondo lavoro presenta una serie di foto, che sono state esposte anche all’ultima edizione della biennale norvegese Momentum. Le foto sono tratte dal video realizzato a stretto contatto con una comunità organizzata in funzione delle regole dello zapatismo, che si trova ad Atene. Parliamo di persone provenienti da tutto il mondo che hanno trovato asilo nella capitale greca e con i quali i componenti di Chto Delat hanno convissuto. Nel complesso, sono stati realizzati un video, dei collages e questa serie fotografica. I ritratti che vediamo rimettono queste persone al centro del mondo con l’espediente delle mappe in controluce e con alcuni elementi che ne caratterizzano la storia personale. L’esercizio sta nel come impariamo gli uni dagli altri, nel re-immaginare una politica del quotidiano, generare forme di autonomia e solidarietà. Ma come quell'imparare insieme può costruire un movimento di lotta? Abbiamo terminato la nostra seconda tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Leme sul corridoio rosso al numero 3. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora alla galleria brasiliana Leme sul percorso Rosso, al numero 3. Ci avviciniamo ai dipinti di Tiago Sant'Ana: artista visivo, curatore, e dottorando in Cultura e Società presso l'Università Federale di Bahia. La sua ricerca si immerge nelle tensioni e nelle rappresentazioni delle identità afro-brasiliane. Centrale nella ricerca di Tiago Sant’Ana è la consapevolezza che la storia, come tutta la costruzione della conoscenza sia un campo di potere. E, a sua volta, la posizione sociale di chi guarda ai fatti è intrinseca al processo di creazione della storia stessa. I recenti lavori pittorici dell’artista che vediamo oggi ad Artissima, sono del 2020, prodotti quindi durante la pandemia. Vediamo ritratti di uomini in una dimensione di tranquillità o intimità in opposizione all’idea cristallizzata che la storia dell'arte ha fatto della mascolinità nera ipersessualizzata, sempre connotata da situazioni di forza, lavoro, violenza, brutalità. Il vuoto intorno a questi personaggi è un elemento importante nella sua nuova ricerca, porta infatti tutta l’attenzione al centro, alla rappresentazione umana. Tra i dipinti vediamo anche delle spine che richiamano il concetto di mortalità, ma allo stesso tempo, le mani, generano un palpito di vita nonostante il dolore. Nella serie Crowned, le corone, spesso utilizzate nelle sculture di santi della tradizione barocca brasiliana o nei dipinti rinascimentali, non si adattano alle teste degli uomini rappresentati. Ma la tridimensionalità della corona attraversa con le sue ombre la sommità dei volti creando un nuovo disegno. Un campo di approfondimento che sta alla base del pensiero dell'artista è la storia del ciclo dello zucchero, intesa come narrazione costruita da un punto di vista eurocentrico, che vedeva l'espansione coloniale come un grande vantaggio per il mondo. A esaminare questa storia di “gloria coloniale”, ci rendiamo conto che è stata strutturata attraverso la violenza e il giudizio, da modelli di vita eurocentrici che vanno prepotentemente a generare i parametri per ogni società. A dare un’immagine poetica e perturbante di questo processo troviamo il lavoro di Tiago Sant’Ana, intitolato Sugar Shoes, che è di fatto un'immagine contraddittoria perché si tratta di scarpe impossibili da indossare, fragili e precarie, così come la metafora stessa che quelle scarpe rappresentano, ovvero: la libertà. Proprio in questi giorni durante un dibattito il performer italiano Salvo Lombardo ha citato le parole del rivoluzionario psichiatra, antropologo, filosofo e saggista Frantz Fanon, rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione. Sosteneva che a suo modo “ogni popolo si libera dal colonialismo da sé". Ma per arrivare a questo occorre generare spazi interni di comprensione e interrogativi: chiedersi cosa comprometto, cosa metto a repentaglio? Chi sono i miei alleati in questo processo? L'opera di Tiago Sant'Ana ha in sé la potenza di creare immagini forti e dirette su questioni complesse e stratificate. Il suo rapporto con questi temi dimostra la capacità di dialogo e di interrogarsi attraverso il fare artistico. Abbiamo terminato la nostra terza tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Copperfield sul corridoio Rosso, al numero 8 Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora alla galleria Copperfield sul corridoio Rosso, al numero 8 La galleria, fondata nel 2016 a Londra si concentra su pratiche multidisciplinari aperte a diversità e sostenibilità. Ciò che rende unico ed incredibilmente contemporaneo il lavoro di Ada M. Patterson è la capacità di integrare in una ricerca, complessa e frammentata, riflessioni sul concetto di identità e sul dramma climatico. Indaga i vari modi in cui lo storytelling possa limitare, abilitare e complicare la formazione dell'identità. Lo fa attraverso performance, poesia, composizioni tessili e travestimenti, canzoni d'amore interspecie, pedagogie queer e trans e riflessioni sull’imperialismo climatico. Una sorta di portale lirico su urgenti dinamiche sociali. Ada M. Patterson nasce nel 1994 a Bridgetown capitale di Barbados, lavora tra Rotterdam e Londra. I complessi temi che tocca vengono ulteriormente intensificati dalla sua natura caraibica che si trova a fare i conti con la residenza in Regno Unito, anche se sostiene di non aver mai cercato di identificarsi con un senso di Britishness. Proprio quest'anno Patterson ha preso parte ad una mostra collettiva alla Tate Modern, una mostra storica che raccontava l’ampiezza dell'arte caraibica-britannica nel corso di quattro generazioni. Un esempio di ottime intenzioni, in cui però il rischio che al centro di questa mostra ci fosse la Gran Bretagna, con "i Caraibi" sullo sfondo, era abbastanza alto. Ada M. Patterson, l’artista più giovane in mostra, con il suo lavoro ha messo in evidenza una voce contemporanea della regione d’appartenenza proprio con la serie fotografica che troviamo oggi ad Artissima. Le foto sono tratte dal brillante video Looking for "Looking for Langston". Ecco un affondo sulle origini della sua scelta: Il video solleva la questione dell'accesso: questo lavoro infatti è nato dalla sua esperienza nel tentativo di accedere fisicamente al film di Isaac Julien del 1989, dal titolo Looking for Langston, pietra miliare nell'esplorazione dell'espressione artistica e per gli studi afroamericani. Il film originale era una ricognizione lirica del mondo privato del poeta, attivista sociale, drammaturgo Langston Hughes e dei suoi colleghi artisti e scrittori neri che formarono l ’Harlem Renaissance durante gli anni '20. Si tratta di un movimento che ebbe un profondo impatto non solo sulla cultura afroamericana, ma anche su tutte le altre culture frutto della diaspora africana. Artiste e artisti afro-caraibici e intellettuali delle Indie Occidentali Britanniche, furono parte integrante del movimento. Nel lavoro di quest’artista troviamo spesso il rapporto con l’acqua e la costa atlantica come simbolo di fluidità e cambiamento, qualità che risuonano costantemente nell’opera di Patterson. Nelle immagini qui presenti vediamo un capitano che sogna di salpare, alla ricerca di una visione misteriosa, intangibile, confortante, che resta al limite dell'orizzonte. Una visione incarnata da un marinaio bendato che si muove con movenze fluide, lontane da un'immagine mascolinizzata e stereotipata. Al centro del film originale c’era la natura del desiderio e della reciprocità dello sguardo, che sarebbe diventato segno distintivo del New Queer Cinema. Ma quello di Patterson non è solo un omaggio poetico e nostalgico. Ci conduce ai tempi della sua educazione, in cui alle opere dell'archivio culturale Black queer si poteva accedere solo illecitamente, in modo frammentato. Nella memoria di Patterson, "Looking for Langston" di Julien rappresenta un'opera cruciale ma sfuggente, inafferrabile. Vediamo anche dei tessuti stampati intitolati "Kanga for the Present". Iniziato durante l'uragano Dorian nel 2019, il kanga è una pratica che l’artista ha ereditato da sua madre, una tradizione di abbigliamento ancestrale dell'Africa orientale.Patterson applica ai kanga un’attitudine contemporanea e ad ognuno assegna un nome e una pratica. Queste opere vengono poi regalate ad una persona per la quale quel nome e quell’azione sono significative, perché possa indossarle e sentirsi protetta, amata. Realizzati in un periodo di catastrofi naturali e sociali, questi kanga hanno fornito a Patterson un mezzo per trovare le poche parole necessarie per spiegare ciò che stava accadendo nei Caraibi, e ciò che sta ancora accadendo e continuerà ad accadere nel nostro mondo colpito dalla crisi. Una crisi che non è solo climatica, ma anche identitaria e circonda un tema centrale per l’artista: accettare di essere diversi. Abbiamo terminato la nostra quarta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Max Goelitz sul corridoio Rosa B, al numero 10 Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora alla gelleria Max Goelitz sul percorso Rosa B al numero 10. Scopriamo in quest’ultima tappa il lavoro della giovane artista Natacha Donzé. Siamo di fronte ad una ricerca su sistemi di decolonizzazione del pensiero calandoci nel presente e nel futuro a volte distopico delle attività quotidiane. Tra le pratiche che andiamo a conoscere insieme nel percorso Decolonise Ourselves quest’artista ha senza dubbio una postura più concettuale e astratta, in coerenza con la galleria che la rappresenta. Si inserisce nella sezione New Entries ed è con questa prospettiva sul futuro che iniziamo a salutarci. L’opera dell’artista offre la possibilità di evadere nella riflessione con un senso di poesia e decadenza, si tratta del grande dipinto centrale composto da più tele. La complessità iconografica dei dipinti di Donzé sono caratterizzati da una stratificazione pittorica e concettuale che complicano e mettono in discussione le strutture di potere. I grandi formati dell’artista svizzera classe 1991, formata in design tessile a Parigi, si presentano quindi come spazi in cui sorgono domande senza essere imposte. La creazione di immagini deliberatamente seducenti si affiancano a temi come il collasso, la dislocazione o il caos. Nei suoi dipinti infatti, l'artista svizzera decostruisce le strutture dei sistemi istituzionali, politici e commerciali del nostro tempo raccogliendo frammenti di questi ordini, incorporandoli nei suoi mondi visivi senza gerarchia. Con la sua pratica pittorica l’artista ci porta in un eclettico mix di riferimenti: cinema, scienza, immaginari popolari, storia dell'arte e credenze secolari, i quali vengono decostruiti fino a generare un aspetto unico, integrato, ma né pienamente figurativo né totalmente astratto. Con colori forti, l'artista esplora l'influenza degli esseri umani sul loro ambiente. In Murmuration IV, monitoring sediments, del 2022 composto da quattro parti, con i suoi toni rosso scuro e le sue strutture fluttuanti si rifà alle fotografie a infrarossi a lunga esposizione scattate dai droni. Su questa superficie ondulata si possono vedere riflessi di luce che potrebbero raffigurare presunti bersagli, inserendo nel suo universo visivo anche il tema della sorveglianza. Schemi indistinti che si snodano sulle tele con varie palette di colori, sfuggendo a una definizione precisa. A questa indefinizione si contrappone il contorno netto della tela centrale con colori fluo, che ricordano i catarifrangenti di uniformi o mezzi di trasporto, come segnali di pericolo, attirando così l‘attenzione sugli apparati statali e sottolineando l‘opacità delle loro azioni. Un’altra teoria pittorica dell'artista si basa anche sulla persuasione e sulle strategie di marketing, che generano una sottile e invincibile manipolazione attraverso il linguaggio e le immagini. La ricerca di questa giovane artista ci porta ad immergerci nella dimensione del potere tra le pieghe del vivere quotidiano, tra seduzione e manipolazione, disorientamento e bellezza. Un’esperienza trasformativa. Conclusione Abbiamo terminato la nostra quinta e ultima tappa. Speriamo che questo percorso ti abbia stimolato e incuriosito. Se vuoi un altro punto di vista sulla fiera, torna all’info point o sulla landing page delle AudioGuide e seleziona un altro podcast! A presto e buona Artissima!