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Percorso 05
Il corpo e i corpi. Pelle, ossa, organi e sensazioni diventano tramite di valori. Un’indagine su come la corporeità possa catalizzare riflessioni sulle dinamiche del desiderio, dell’interiorità e dei diritti civili.
Tappa 01
Disegni DS 8
2.06
Tappa 02
Back To The Future BTTF 10
4.08
Tappa 03
Present Future PF 5
5.54
Tappa 04
Corridoio Giallo 1
7.54
Tappa 05
Corridoio Viola 5
10.15
Tappa 06
Corridoio Rosa B 26
12.26
Tappa 01
Disegni DS 8
2.06
Tappa 02
Back To The Future BTTF 10
4.08
Tappa 03
Present Future PF 5
5.54
Tappa 04
Corridoio Giallo 1
7.54
Tappa 05
Corridoio Viola 5
10.15
Tappa 06
Corridoio Rosa B 26
12.26
Buongiorno, benvenuti ad Artissima 2023! Questo è il progetto dell’audioguida e state ascoltando la traccia 5 intitolata Linguaggio del Corpo: un'indagine su come la corporeità può catalizzare riflessioni sulle dinamiche del desiderio, dell'interiorità e dei diritti civili. Partiamo da alcune domande: qual è oggi il significato del corpo in un'opera d'arte? Come possiamo descriverlo in relazione alle accelerazioni digitali che trasformano la carne in avatar o il linguaggio in tag? Per rispondere, è sufficiente guardare alla città di Londra, dove in questo momento la mostra di Marina Abramović alla Royal Academy of Arts è completamente sold out. L'artista serba, che da cinquant'anni mette alla prova i limiti della propria resistenza fisica e mentale in contesti sociali, politici e relazionali, è oggi più celebrata che mai. Il progetto prevede delle rievocazioni dal vivo di alcune performance storiche, realizzate da interpreti che si affidano realmente al cosiddetto Metodo Abramović. La pandemia di COVID-19 risuona ormai come un’eco lontana, ma l'arte sembra bramare corpi, eventi, espressioni tangibili. Linguaggio del Corpo è un tour che vi permetterà di scoprire l'anima più fisica di Artissima. Incontrerete veri e propri pionieri che hanno riscritto i codici dell'arte contemporanea con performance innovative e rivoluzionarie. Ci saranno orgogliosi artisti queer che considerano le loro pratiche come possibilità sociali per cambiare il futuro dei corpi non standard. Scoprirete talenti creativi che provengono da aree lontane del mondo moderno, cercando così di riscrivere storie e prospettive per tutti coloro che non possono parlare a voce alta. Queste audioguide sono state sviluppate per Artissima dai mediatori di Arteco. Questo percorso è stato curato da Daniele Licata. Siamo pronti a partire! Per iniziare la visita, mettete in pausa il lettore e andate alla galleria Gregor Podnar, situata nella sezione Disegni, stand 8. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!
Siamo ora nella sezione Disegni, presso lo stand della galleria Gregor Podnar con sede a Vienna, per presentare l'opera di Robert Gabris. Robert Gabris è un artista eccellente e meticoloso, che si fida della funzione sociale dell'arte e dedica tempo ed energia a ogni singola linea dei suoi disegni. Nato nell'ex Cecoslovacchia nel 1986 e attualmente residente a Vienna, Gabris appartiene all'etnia rom, ma non si definisce un artista rom. Il focus delle sue opere è piuttosto un discorso critico sul significato dell'identità, sull'appartenenza a gruppi socialmente esclusi. Dal suo punto di vista, sperimentare varie tecniche è un atto di resistenza al razzismo predominante. I suoi disegni prevedono l'uso di matite colorate e inchiostro su carta. Egli stesso li definisce come opere “concettuali”, poiché la loro decostruzione delle forme smantella ogni limite imposto. Corpi nudi incontrano uccelli, insetti, creature volanti, in una sorta di Eden immaginario che presenta concetti alternativi di sessualità. A volte le linee si allungano dando forma a maschere di cartone, spesso montate e appese alle pareti come affascinanti installazioni artistiche. Altre volte è lo stesso Gabris ad indossarle e legarle al proprio corpo, cercando di trasformarsi in una nuova creatura, una farfalla che cerca a tutti i costi di evolversi. Le corde simulano l'estetica del bondage e disegnano una cornice di dolore e piacere. Le opere concettuali dell'artista emergono nello spazio della mostra per rivendicare quei diritti che devono ancora essere riconosciuti dalla società. Se il corpo umano può sostenere infiniti cambiamenti, allora i disegni di Gabris sono strumenti di cambiamento, un guardaroba di abiti da indossare per raccontare noi stessi in modi sempre diversi. Abbiamo completato la nostra prima tappa. Mettete in pausa il lettore e dirigetevi alla galleria BAR, situata nella sezione Ritorno al futuro, corridoio B rosa, stand 6. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!
Siamo ora nella sezione Ritorno al Futuro, presso lo stand della galleria torinese BAR, per presentare il lavoro di Lydia Silvestri. Nata nel 1929 a Chiuro, Sondrio, nel nord Italia, la scultrice Lydia Silvestri è stata discepola di Marino Marini. È scomparsa cinque anni fa, nel 2018, e tutta la sua carriera – fatta di mostre personali e collettive in tutto il mondo – è stata rivalutata proprio negli ultimi tempi. Le sculture della Silvestri sono realizzate con materiali voluttuosi, che si avvolgono continuamente su se stessi. In modo fluido e naturale, esse modellano corpi che si allungano verso l'esterno, per avvicinarsi ad altri corpi e compiere atti erotici. Il piacere e la lussuria sono incarnati anche dai materiali che da sempre l’artista ha scolpito e combinato con libertà: bronzo e legno, pietra e marmo, semigress e terracotta, ma anche composti di inerti e resine palatal (magma) e composti di inerti ed resine epossidiche (lapis). L'artista era affascinata dalle figure femminili della Bibbia, della mitologia e della letteratura. Un compendio di dee, santi, peccatori ed eroine che si trasformano in sculture, disegni e incisioni; un universo unico che sceglie l'ambiguità come principale strumento narrativo. Lydia Silvestri una volta ha detto: “Il più bel complimento che ho ricevuto è stato quello di un bambino di nome Tommaso. Lui mi disse: papà dice che sei una strega, ma non è vero. Lo giuro, tu sei magica!” Abbiamo completato la nostra seconda tappa. Mettete in pausa il lettore e recatevi alla galleria Matèria, situata nella sezione Present Future, corridoio B rosa, stand 5. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!
Ora ci troviamo nella sezione Present Future, presso lo stand della galleria Matèria di Roma, per presentare il lavoro di Bekhbaatar Enkhtur. Roma, febbraio 2023. Un corpo lungo, sottile e giallastro giace sul pavimento della galleria d'arte contemporanea Matèria. Forse è caduto, forse qualcuno lo ha ferito con violenza, forse sta solo facendo un pisolino. Apparso negli spazi espositivi della galleria cinque giorni prima dell'inaugurazione della prima personale di Bekhbaatar Enkhtur, l'artista mongolo ha scelto deliberatamente di scolpirlo con materiali deperibili e maleodoranti, chiedendo ai visitatori di fissare quell'immagine nella propria mente prima che scomparisse per sempre. Nato nel 1994, Enkhtur ha intrapreso questo progetto per raccontare - prima di tutto a se stesso - un evento specifico della storia mongola, legato alla statua di 26 metri di Janraisig, che venne eretta nel 1913 a Ulan Bator, la capitale del Paese. Essa era un simbolo di indipendenza ed emancipazione politica dalla Cina, ma venticinque anni dopo, nell'ambito di una più ampia epurazione staliniana di tutto ciò che era buddista, venne smantellata dalle truppe sovietiche. Dopo questo atto iconoclasta, fu ricostruita nel 1996, con un nuovo appeal che possiamo definire turistico. Corpi cadenti che appaiono e scompaiono ripetutamente. Enkhtur racconta i simboli tradizionali della Mongolia tramite disegni e sculture effimere. Sono reminiscenze di ricordi vaghi, sono draghi e cani che abbaiano, sono aneddoti su zie coinvolte in rituali sciamanici. Se il profumo è ciò che resta della storia, nella pratica dell'artista quello stesso profumo si trasforma in un soffio di cera d'api, nel disegno impalpabile di una terra ancora da immaginare. Abbiamo completato la nostra terza tappa. Mettete in pausa il lettore e dirigetevi alla galleria Lia Rumma, corridoio giallo, stand 1. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!
Ci troviamo ora nella Sezione Principale, presso lo stand di Lia Rumma, una galleria con sedi a Napoli e Milano, per presentare il lavoro di Vanessa Beecroft. Vanessa Beecroft si è formata a Genova nei primi anni ‘90 e successivamente a Milano, dove ha frequentato l'Accademia di Brera. Nello sviluppo della sua ricerca artistica, la Beecroft iniziò a confrontarsi con una sofferenza personale, che cercò di elaborare scrivendo un diario sul quale riportava le liste dei cibi che mangiava quotidianamente. Nel 1993, quel diario, noto anche come Despair, fu esposto alla sua prima mostra personale a Milano, per la quale l’artista invitò una selezione di sue amiche ad indossare i suoi abiti e le sue parrucche e quindi a rimanere immobili all'interno della galleria per ore e ore. Quel giorno nacque il mito di Vanessa Beecroft, quando l'artista – forse involontariamente – presentò il suo primo, intransigente tableau vivant, mostrando il dolore generazionale e confondendo i visitatori, che erano incapaci di comportarsi di fronte alle performer. Alle amiche della Beecroft era stato chiesto di non fare nulla per ore: giacevano con pigrizia sul pavimento, fissando il vuoto, a volte toccandosi i capelli o sgranchendo le gambe. In un'epoca in cui le riviste di moda si occupavano solo di corpi statuari, celebrando così fama e seduzione, Vanessa Beecroft si era distinta per la sua visione alternativa che utilizzava il glamour per mostrare le fragilità umane. Dopo il suo debutto, la Beecroft è diventata un'artista acclamata in tutto il mondo e le sue performance sono come delle bombe a orologeria. I titoli delle sue opere sono sempre le lettere delle sue iniziali, VB, seguite da numeri progressivi così da affrontare il tema dell'oggettivazione del corpo femminile. L'artista si prende raramente la scena e preferisce lavorare come un regista nascosto, che seleziona i suoi interpreti attraverso casting di tipo hollywoodiano. Più recentemente, la sua pratica si è concentrata anche sulla scultura: grandi teste, spesso in ceramica e gesso, ispirate alla tradizione italiana della bellezza femminile nell'arte. Allo stesso tempo, queste ci ricordano tutti i progetti VB, in cui i concetti di moltitudine e singolarità tendono sempre a confondersi. Abbiamo completato la nostra quarta tappa. Mettete in pausa il lettore e dirigetevi alla galleria Fonti, corridoio viola, stand 5. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!
Siamo ora nella sezione Monologo/Dialogo, presso lo stand della Galleria Fonti, una galleria con sede a Napoli, per presentare il lavoro di Kiluanji Kia Henda. Kiluanji Kia Henda utilizza la fotografia per descrivere in maniera estremamente personale l'Angola, il suo paese d'origine. Egli è nato nella città di Luanda nel 1979, quattro anni dopo l'indipendenza del Paese dal Portogallo. A tale evento seguì una sanguinosa guerra civile conclusasi nel 2002. Come confessa l'artista: “a casa tutti parlavano di politica. All'epoca mio padre era coinvolto in vari movimenti politici e ricordo quel periodo con un misto di paura ed eccitazione”. Secondo Kiluanji Kia Henda, la missione dell'artista è quella di elaborare i traumi, ma sempre attraverso un approccio ironico: come dice lui, è l'unico modo per far interessare le persone alle tragedie. Ad Artissima, l'artista presenta due diversi cicli fotografici. Il primo, chiamato "Ci sono giorni in cui lascio il mio cuore a casa", racconta come la cosiddetta Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica abbia in realtà causato la morte di molte persone lontane dal mondo occidentale. Henda fotografa tutte le tracce del conflitto che sono rimaste negli oggetti, nei paesaggi, nelle architetture: con uno sguardo estremamente acuto, racconta la pelle sporca di sangue e i corpi feriti senza mostrarli in maniera esplicita. I ritratti di Blood Business Corporation, al contrario, si basano sulla giustapposizione tra paesaggi e soggetti che ricordano mutanti o alieni. Identità ambigue che confondono lo spettatore: per caso si tratta di in un set di moda? Forse, come dice l'artista, si tratta della narrazione di quelle persone che proiettano conflitti nascosti nel buio. Non conosciamo realmente i volti di coloro che traggono profitto dalla guerra: ciò che vediamo alla fine sono degli "zombie telecomandati" che si aggirano tra le tubature. Abbiamo completato la nostra quinta tappa. Mettete in pausa il lettore e dirigetevi alla galleria Daniel Benjamin, corridoio B rosa, stand 26. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!