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Percorso 01
Un viaggio nel tempo e nello spazio. Alcuni momenti storici dei primi trent’anni di Artissima attiveranno riletture e nuove scoperte, accompagnandoci attraverso quattro continenti in una ricostruzione della crescita internazionale della fiera.
Tappa 01
Corridoio Bianco 7
02.01
Tappa 02
Present Future PF 4
06.07
Tappa 03
Disegni DS 2
09.30
Tappa 04
Corridoio Rosso 16
12.45
Tappa 05
Back To The Future BTTF 5
15.55
Tappa 06
Corridoio Rosa B 18
19.09
Tappa 01
Corridoio Bianco 7
02.01
Tappa 02
Present Future PF 4
06.07
Tappa 03
Disegni DS 2
09.30
Tappa 04
Corridoio Rosso 16
12.45
Tappa 05
Back To The Future BTTF 5
15.55
Tappa 06
Corridoio Rosa B 18
19.09
Buongiorno, ti diamo il benvenuto ad Artissima 2023. Questo è il progetto AudioGuide e stai ascoltando il percorso numero 01 intitolato 30 e Lode, che ti permetterà di scoprire ricerche artistiche provenienti da tutto il mondo, ripercorrendo, in ogni tappa, la storia della fiera. Artissima compie 30 anni, che vengono celebrati da un’edizione estremamente ricca, con 181 gallerie da 33 Paesi. Come negli anni precedenti, sono presenti 3 sezioni curate: Back to the Future, Present Future e Disegni. Il tema scelto da Luigi Fassi, al suo secondo anno di direzione, è Relations of Care. In questi tempi di crisi e violenza la ricerca di una via alternativa per creare un futuro improntato alla cura delle persone e del pianeta, magari partendo da modelli diversi da quello occidentale dominante, appare quanto mai fondamentale. Dal 1994 la fiera è cresciuta di anno in anno, cambiando più volte sede e costruendosi un appeal internazionale di rilievo che richiama collezionisti ed esperti, ma anche moltissimi visitatori. In questo percorso alcuni momenti rilevanti nella storia di Artissima ci forniranno lo spunto per scoprire gallerie e artisti, sia storici che emergenti. Sarà dunque un viaggio nel tempo e nello spazio, che ci condurrà in 4 diversi continenti, attraverso tutte le sezioni della fiera. Le audioguide sono state sviluppate per Artissima dalle mediatrici e dai mediatori di Arteco. Questo percorso è stato curato da Sergio Manca. Siamo pronti per partire. La prima tappa sarà la galleria Tucci Russo, situata all’angolo fra il boulevard principale e il corridoio bianco, sul quale è posizionata al numero 7.
Iniziamo dal principio: il 29 settembre 1994 inaugurò presso il padiglione 3 del Lingotto Fiere la prima edizione di Artissima, con la direzione di Roberto Casiraghi. Alla sua nascita la fiera contava già 123 gallerie, provenienti da soli 7 Paesi, con una grande maggioranza di gallerie italiane. Si ricorda però la partecipazione della celebre galleria di Gian Enzo Sperone, che aveva animato la scena artistica torinese negli anni 60 e 70, per poi trasferire la propria sede a New York. Tra i soci fondatori della prima edizione della fiera compariva Antonio Tucci Russo, titolare della storica galleria aperta a Torino nel 1975, che proprio nel ’94 si era spostata a Torre Pellice negli ampi e affascinanti spazi di un’ex manifattura tessile. Nel corso della sua storia la galleria ha promosso il lavoro degli artisti del gruppo dell’Arte Povera e quello di alcuni artisti internazionali di primaria importanza come Tony Cragg e Thomas Schütte. Le lunghe collaborazioni con gli artisti delineano l’identità della galleria anche in quest’edizione della fiera. Troviamo infatti il lavoro di Giovanni Anselmo, nome centrale dell’Arte Povera, il quale ha sempre dedicato la propria ricerca alla riflessione sul rapporto che intercorre fra gli esseri umani, i materiali, la dimensione cosmica e le energie invisibili che regolano il movimento e la vita del nostro pianeta. La sua opera intitolata "Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più" è composta da sei blocchi di granito su ognuno dei quali è incisa una parte del titolo. I blocchi alti una spanna, unità base della misurazione empirica e del lavoro umano, ci forniscono un ideale basamento su cui salire per avvicinarci, realmente per quanto in misura infinitesimale, agli astri. Si attiva così una relazione con l’universo non dissimile da quella provocata da "Interferenza nella gravitazione universale", opera realizzata dall’artista nel 1969 e composta da una serie di fotografie scattate in sequenza ogni venti passi percorsi verso ovest, in un inseguimento del sole che ritardava in modo impercettibile l’esperienza del tramonto. Alzando lo sguardo incontriamo due teste umane, realizzate dal rinomato e poliedrico artista tedesco Thomas Schütte, attivo dalla fine degli anni ‘70. Queste opere rappresentano bene la sintesi di due ricerche care all’artista: da un lato la rappresentazione del volto umano, vera e propria rivisitazione del tema del busto della scultura antica, dall’altro l’incessante sperimentazione sui materiali. Queste sculture sono infatti realizzate in vetro di Murano rosso, materia che richiama un antico sapere artigianale e ci invita a guardare le teste da più angolazioni, scoprendo come i giochi di trasparenze e ombre sembrino alterare l’espressione dei personaggi. I personaggi di Schütte hanno sempre qualcosa di universale, elegante e potente, anche quando abbandonano la forma monumentale o quando sono trasfigurati in forme grottesche. Prima di lasciare la Main section della fiera, dedichiamo un ricordo ad Antonio Tucci Russo, che si è spento quest’anno: un uomo di grande intelligenza e visione, che ha lasciato un segno profondo nella storia dell’arte contemporanea. Il nostro viaggio continua nella vicina galleria Chris Sharp, sul corridoio di fronte all’ingresso, nello stand numero 4 della sezione Present Future, dedicata ai talenti emergenti. Ora metti in pausa il tuo player e schiaccia play una volta che sarai lì.
Nel 1997, anno in cui ottenne il patrocinio della provincia e della regione, Artissima si espanse attraverso iniziative come “Coppie d’arte” e la mostra Terrae Motus, curata da Achille Bonito Oliva, che presentava il grande progetto artistico voluto da Lucio Amelio in seguito al terremoto che colpì Campania e Basilicata nel 1980. L’edizione del ‘97 fu contrassegnata dall’apertura di “Solofoto”: una sezione dedicata alle gallerie nazionali e internazionali che lavoravano esclusivamente con la fotografia, alla quale nel 1998 fu anche associato un premio. Nei 25 anni successivi l’interesse del pubblico e l’attenzione della città per la fotografia sono aumentati esponenzialmente, grazie a numerose mostre e all’apertura di istituzioni specializzate come Camera e le Gallerie d’Italia. In fiera la fotografia è stata sempre presente, spesso anche come medium utilizzato da artisti che non si definiscono fotografi. Fra le ricerche più suggestive di quest’anno in campo fotografico troviamo quella di David Gilbert, artista statunitense proposto dalla galleria Chris Sharp di Los Angeles. Nato a New York e trasferitosi in California, Gilbert presenta una serie di lavori realizzati quest’anno durante una residenza presso la Maison Dora Maar a Ménerbes, in Provenza. Nonostante l’esito finale del suo lavoro siano principalmente fotografie, il processo creativo che sta alla base coinvolge un’azione sulla materia ed è lungo, complesso e ragionato. Tutto parte da una composizione, da una vera e propria messa in scena in cui trovano posto sculture fatte di materiali poveri, insieme a tendaggi e fondali costruiti attraverso il ritaglio di carta e stoffe. Gilbert crea tutti gli elementi, poi li sistema, li organizza e li fotografa per ricreare l’effetto di un’immagine pittorica. Spesso l’osservazione degli scatti lo porta a modificare le forme e i colori e a realizzare nuove fotografie, in una ricerca continua del risultato perfetto. Le sue opere hanno qualcosa di misterioso: sono generalmente dominate da un’atmosfera lieve e pacata, ma le forme all’interno sembrano talvolta personaggi appartenenti a un mondo fantastico vagamente spettrale. In questa serie la luce dolce del Sud della Francia rappresenta la materia impalpabile che costruisce la scena. Essa entra sempre lateralmente, invadendo lo spazio senza violenza e disegnando sagome, contrasti e intrecci. Ne consegue che queste scene d’interni enigmatiche appaiano a chi le guarda come l’espressione di una sensibilità affine a quella di Vermeer e dei grandi maestri fiamminghi. Il viaggio procede ora verso oriente. Ci spostiamo allo stand numero 2 della sezione Disegni, l’unica nel panorama fieristico italiano dedicata al disegno e alle opere su carta. La nostra tappa sarà la Galleria Capsule Shanghai, che si affaccia sul corridoio bianco. Metti in pausa il tuo player e schiaccia play quando sarai lì.
L’edizione del 2000 di Artissima si svolse a Palazzo Nervi: il gioiello architettonico, all’epoca ancora agibile, che era sorto nel 1961 per l’Esposizione Internazionale del Lavoro. Per l’ingresso nel nuovo millennio la fiera decise di presentarsi come fiera d’arte puramente contemporanea, abbandonando la dicitura “arte moderna” e dichiarando chiaramente la sua identità e il suo sguardo verso il futuro. Al di là di un ricco programma sull’arte francese, le grandi novità riguardarono l’apertura dello sguardo internazionale della fiera anche al di fuori dell’Europa: in soli tre anni i Paesi rappresentati erano più che raddoppiati e per la prima volta esponeva in una fiera italiana una galleria cinese. L’apertura al mercato e alle produzioni artistiche dell’estremo oriente ha contraddistinto la fiera anche nei decenni successivi. Quest’anno espongono una galleria proveniente dalla Thailandia, una dalla Corea, tre da Hong Kong e due dalla Cina. Una di queste è la galleria Capsule Shanghai, che per la sezione Disegni espone il lavoro di Hai-Hsin Huang. Nata a Taipei nel 1984 e residente a Brooklyn, l’artista presenta il suo sguardo come quello di una bambina che ci invita a notare ciò a cui i nostri occhi sono assuefatti, ad osservare con distanza sbalordita le dinamiche sociali del mondo attuale. Il suo lavoro parte sempre da una raccolta vorace di immagini, talvolta trovate online su siti di riviste e istituzioni, ma spesso registrate con pungente acume dai suoi stessi occhi. Come pittrice è abituata a lavorare su tele di immenso formato, sulle quali si avvicendano personaggi tanto grotteschi quanto più sono reali. Nel 2019 la pittrice aveva realizzato un gigantesco disegno che immortalava satiricamente un’intera fiera d’arte, con eccezionale attenzione ai dettagli delle opere, dei galleristi e dei visitatori. I disegni presentati ad Artissima, così vicini al linguaggio del fumetto e dell’illustrazione, sono invece il risultato di un periodo di due mesi trascorso in varie città d’Italia. Fra Milano, Venezia, Firenze e Roma si snoda questo Gran Tour dell’assurdo contemporaneo: fra volti ritoccati, smartphone, gang di gondolieri e capolavori clonati sotto cellophane, scene a noi familiari sono messe su carta con icastica ironia. Il mondo delle convenzioni e dei cliché, con qualche esagerazione funzionale, viene presentato dall’artista senza giudizi lapidari: ci chiede invece di riconoscerci e rispecchiarci nelle nevrosi collettive, invitandoci a sorridere con una lieve amarezza e ricordandoci che l’ironia verso il nostro simile è anche, inevitabilmente, rivolta verso noi stessi. La prossima tappa sarà la First Floor Gallery Harare, che si affaccia sul corridoio rosso al numero 16. Metti in pausa il player e schiaccia play quando sarai lì.
Nel 2003 Artissima festeggiò la sua decima edizione tornando al Lingotto Fiere. Anche quest’edizione rappresentò una tappa importante nella crescita dell’istituzione sul piano dell’internazionalità: non solo esposero per la prima volta una galleria argentina e una slovena, ma il numero degli Stati rappresentati superò la ventina. In questa crescita di attenzione per scene non occidentali si inseriva l’iniziativa intitolata “Uno sguardo sull’Africa”. Grazie a questo percorso il pubblico potè confrontarsi con le pratiche di artisti africani, promossi da 13 gallerie. Nelle edizioni più recenti sono sempre state presenti gallerie provenienti dal continente africano. Fra queste troviamo la First Floor Gallery Harare, nata nella capitale dello Zimbabwe nel 2009 come spazio sperimentale gestito da artisti. La galleria, estremamente attiva sul piano dell’educazione e della promozione culturale, presenta per la sezione Monologue/Dialogue un confronto fra il lavoro di Shamilla Aasha e Troy Mazaka, due artisti attivi in Zimbabwe che mostrano alcune affinità, nonostante appartengano a generazioni diverse. Shamilla Aasha è nata nel 1977. Dopo molti anni dedicati alla pittura, nel 2018 decide di dedicarsi alla tessitura di composizioni astratte dall’aspetto sacrale alle quali imprime forti connotazioni pittoriche. La ripresa di antiche modalità legate alla pratica femminile si sposa con la ricerca svolta su tecniche giapponesi come il sashiko e il boro. Punti regolari e morbide curve si fondono in un lavoro lento e meditativo che racchiude storie personali. Insieme ai fili tradizionali e a tessuti di scarto, Aasha inserisce ricami realizzati con i capelli artificiali che richiamano le extensions e le parrucche delle donne del suo Paese. Anche Troy Makaza, artista classe 1997 che sta trovando riconoscimento internazionale, parte dalla pittura astratta. I suoi lavori sembrano presentarci oggetti quotidiani o geografie immaginarie, riprendendo l’estetica delle tappezzerie per arredi, ma anche quella delle mappe. I colori sono accostati con contrasti potenti. L’aspetto delle opere rivela caratteri insieme antichi e contemporanei, familiari e alieni. Questa strana ambiguità nasce dalla tecnica: dopo lunghe sperimentazioni Makaza è approdato ad una materia non riconoscibile a un primo sguardo, un silicone pigmentato che dona alle sue realizzazioni una componente materica morbida solo in apparenza. Ora torniamo verso la sezione centrale della fiera e ci rechiamo alla galleria Lawrie Shabibi. La trovi allo stand numero 5 della sezione Back to the future, affacciata sul corridoio bianco. Ora metti in pausa e schiaccia play una volta che sarai lì.
Negli anni ‘10 del nuovo millennio l’importanza di Artissima nel mondo del contemporaneo e il suo carattere internazionale erano ormai riconosciuti. Il decennio, in cui la fiera ha trovato sede stabile presso l’Oval del Lingotto, ha visto avvicendarsi alla direzione della fiera Francesco Manacorda, Sarah Cosulich e Ilaria Bonacossa. Fra le tendenze che hanno segnato il periodo si nota un’attenzione particolare alla scena mediorientale, che nel 2019 si è concretizzata nel progetto specifico Hub Middle East. Gli Emirati Arabi compaiono fra i Paesi di provenienza di gallerie come la Lawrie Shabibi di Dubai, che partecipò alla fiera per la prima volta nel 2015. Anche quest’anno è presente ed espone un progetto monografico per la sezione curata Back to the Future, dedicata alla riscoperta di artiste attive nel periodo che va dal 1950 al 1979. L’artista scelta dalla galleria è Mona Saudi, scultrice giordana deceduta l’anno scorso. Saudi scoprì la sua vocazione artistica molto giovane e a 15 anni lasciò la sua casa senza il permesso della famiglia per diventare una scultrice. Nel corso della sua lunga carriera di artista e poetessa visse a Parigi e a Beirut e fece parte del dipartimento d’arte del Fronte per la Liberazione della Palestina. Nei suoi anni giovanili crebbe in un ambiente dominato dalla natura, dalla quale emergevano le antiche vestigia archeologiche della civiltà romana e le rovine nabatee. L’osservazione del paesaggio mediorientale e le sue antiche tradizioni artistiche sono stati gli elementi che hanno ispirato la sua ricerca nel campo della scultura, sempre applicata alla pietra locale. Le sue sculture, in bilico fra l’astratto e il figurativo, sono l’esito di un sentimento profondo di comunione spirituale con la terra. Ispirandosi dichiaratamente al lavoro di Brancusi, Chillida, Moore e Hepworth e mantenendo un legame ancestrale con l’arte dei popoli antichi, Saudi ha scolpito per 50 anni forme in cui si incontrano l’organico e il geometrico, che si presentano a noi come archetipi della condizione umana. Nel suo lavoro universale l’artista ha sempre cercato di trasmettere un senso di completezza e di pace, in direzione opposta alla velocità e ai conflitti della contemporaneità. La galleria quest’anno ci offre l’opportunità di confrontarci con i suoi disegni, nei quali forme più complesse sono tracciate a inchiostro e acquerello, con linee semplici che richiamano Matisse o Picasso. Si tratta di un resoconto personale che rivela un dinamismo e una ricerca chiaroscurale inattesi per chi è abituato a vedere le sue più celebri opere in pietra. Il nostro percorso sta per concludersi. Ci ritroviamo a pochi passi da qui, allo stand della galleria HOA, sul corridoio laterale rosa B, al numero 18. Metti in pausa e premi play quando sarai lì.
Il nostro viaggio non può che concludersi con una novità dell’edizione 2023. Dopo aver ripercorso 30 anni di fiera ed esserci confrontati con ricerche che sembrano emergere da un tempo dimenticato, ci spostiamo in Sud America, nello specifico in Brasile, per concludere con una tappa dedicata alla stretta contemporaneità. Siamo nella sezione New Entries, che ogni anno permette di conoscere ricerche da tutto il mondo promosse da gallerie emergenti che espongono ad Artissima per la prima volta. Qui incontriamo HOA, che nel suo Manifesto si presenta come un’organizzazione artistica nata nel 2020 con la missione dichiaratamente anticoloniale di promuovere l’arte latinoamericana liberandola dai pregiudizi esotisti dello sguardo occidentale. La realtà, che ha sede a São Paulo, presenta i lavori di Rafaela Kennedy e di Renan Aguena che ci parlano della vita in Brasile nella dimensione attuale. Rafaela Kennedy, nata a Manaus nel 1994, è un’artista che opera nel campo della fotografia partendo da un presupposto fondamentale: l’immagine fotografica ha una funzione legittimatrice e sociopoietica: se una cosa non è fotografata è come se non esistesse. Rivolgendo il proprio sguardo alle discendenze indigene e alla comunità transgender, Kennedy realizza scatti che stanno a metà fra il reportage e la fotografia di moda. I suoi ritratti eleganti e poetici, realizzati quasi sempre in ambienti aperti, celebrano persone appartenenti a gruppi discriminati, che da sempre vivono una condizione di emarginazione anche nel mondo dell’immagine. Le sue opere non vogliono paternalisticamente descrivere una condizione, ma semplicemente raccontare le persone e, così facendo, riconoscerne l’esistenza e normalizzarle, realizzando così un’azione politicamente più pregnante di qualunque slogan. Il 23enne autodidatta Renan Aguena ci porta invece a Rio de Janeiro, invitandoci a spostare l’attenzione dai quartieri del centro, normalmente considerati il luogo della cultura nella metropoli. Il suo sguardo si posa invece sulla grande zona nord della città, quella più popolare, in cui insieme alle favelas trovano posto gli stadi come il Maracanà e le grandi scuole di samba. Attraverso la pittura e il collage realizza scorci apparentemente astratti. Osservando con attenzione queste composizioni di pennellate, schizzi e strappi, ci sembrerà di scorgere muri, piante e figure. Queste opere, attraverso lacune e stratificazioni, descrivono la complessità dell’ambiente suburbano in cui l’artista vive ed è cresciuto. Aguena è anche autore di musica rap e sui social associa ai suoi quadri testi rabbiosi e poetici in cui racconta paure, frustrazioni e desideri ponendosi in relazione con i meccanismi sociali urbani, uguali a Rio e nel resto del mondo. Prendendo in prestito un suo verso emblematico, che ben sintetizza l‘esperienza artistica contemporanea, concludiamo il nostro breve, seppur lunghissimo viaggio: “Sono collettivo anche da solo”. Speriamo che questo percorso ti abbia stimolato e incuriosito. Se vuoi un altro punto di vista sulla fiera, torna all’infopoint o sulla landing page delle AudioGuide e seleziona un altro percorso! A presto e buona Artissima!