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Issue n. 21 | Mario Cristiani intervistato da Camilla Barella

19 Ottobre 2018 Artissima Stories

Camilla Barella: In questi ventotto anni di Continua, ci sono stati molti cambiamenti nel mondo dell’arte. Quali sono stati quelli per te più significativi? Essere un gallerista negli anni ’90 era molto diverso dall’essere un gallerista oggi?

Mario Cristiani: I cambiamenti sono stati moltissimi, in Italia e ancor di più nelle piccole realtà decentrate come San Gimignano. Qui negli anni ’90 l’arte contemporanea era considerata qualcosa di stravagante ed era totalmente priva di seguito. L’apertura della nostra prima sede è avvenuta in un particolare momento storico: dopo la sbornia degli anni ‘80 — un periodo di grandi eccessi mediatici e speculazioni — si assistette nel 1991 a un crollo del mercato dell’arte, con la chiusura di moltissime gallerie e la caduta delle quotazioni di molti artisti contemporanei. Noi abbiamo mosso in nostri primi passi nel momento in cui si ricominciava ad aprire gli occhi e, forse anche grazie a questo, abbiamo trovato ascolto. Con il trascorrere del decennio si è passati dal semplice collezionare al concetto di arte come modalità di incontro e strumento per relazionarsi con gli altri; sono nate e cresciute molte fiere che inizialmente ci hanno permesso di ampliare il nostro bacino d’utenza e poi di farci conoscere a livello internazionale. All’epoca partecipare a una fiera era decisamente più semplice, l’iter era più snello e il sistema era meno strutturato. Oggi gli adempimenti burocratici sono molto più impegnativi e anche la soglia di accesso si è alzata. Nel nuovo millennio l’arte contemporanea ha conquistato un ruolo di primo piano nel sistema economico e culturale internazionale. Accedervi forse è più complesso, ma credo che la volontà di farlo e la passione – anche quando il capitale di partenza è minimo – restino la spinta principale per andare avanti.

CB: Amo molto il fatto che non vi spaventi entrare in situazioni instabili da un punto di vista economico o politico. Durante tutti questi anni di crisi politica ed economica voi avete investito molto in Brasile, facendo la fiera, e rappresentando quattro artisti brasiliani. Anche a Cuba, dove avete aperto una sede nel 2015. Come sono state queste esperienze?

MC: Nascere in Italia – dove i cambiamenti politici ed economici sono all’ordine del giorno – e avviare la nostra attività senza un capitale iniziale e senza avere alle spalle famiglie di collezionisti o comunque abbastanza agiate da poterci sostenere da un punto di vista economico, ci ha in un certo senso vaccinati. Il nostro intento è stato quello di portare l’arte in posti nuovi e di farla conoscere a chi avevamo intorno. Abbiamo iniziato dalla Toscana e, con lo stesso spirito, siamo sbarcati in Cina nel 2004, nella campagna parigina nel 2007 e a L’Avana nel 2015. Abbiamo avuto il coraggio di affrontare situazioni difficili grazie al ruolo centrale che l’arte occupa nelle nostre vite e grazie agli artisti con cui lavoriamo.

CB: Dico sempre che essere un gallerista è uno dei lavori più impegnativi. I vostri migliori amici sono artisti, nel tempo “libero” visitate musei e la sera andate a cena con i collezionisti. Quanto della tua vita ruota attorno all’arte? Riesci a separare la tua vita privata da quella professionale?

MC: Effettivamente è un’attività in cui vita personale e professionale coincidono sempre di più. Le persone con cui lavoriamo o con cui sviluppiamo dei progetti sono spesso anche i nostri migliori amici e la nostra esperienza (con Lorenzo Fiaschi e Maurizio Rigillo) da questo punto di vista è emblematica. Il lavoro ci porta a viaggiare in tutto il mondo, coinvolgere famiglia e affetti è difficile, quindi è vitale riuscire a trovare anche del tempo da passare con loro.

CB: Oggi si ripete un ritornello costante: ci sono troppe fiere. Secondo te cosa distingue Artissima dalle altre? La città? Il periodo? I suoi ospiti?

MC: Artissima è la fiera di una città nella quale l’arte contemporanea internazionale è di casa. Lo spirito d’innovazione, la ricerca e l’attenzione alle pratiche sperimentali sono elementi rimasti costanti nella direzione che si è succeduta negli anni. Il periodo inoltre è ottimo per associare arte e cibo; fin dai tempi in cui ero nel comitato ho sostenuto la ricerca di un rapporto con Slow Food che mi auguro prima o poi si concretizzerà.

CB: Come pensi che i collezionisti e il collezionismo siano cambiati nel corso degli anni?

MC: I principali motivi che da sempre guidano i buoni collezionisti sono la curiosità, il piacere e la passione per l’arte. Collezionare è una delle poche attività che riesce a coinvolgere la gamma completa delle nostre emozioni e dei nostri impulsi. La crisi del 2008 ha cambiato un po’ un contesto che prima di quella data era forse meno esigente e selettivo, ma credo che i collezionisti veri non siano mai cambiati. Il collezionismo rappresenta oggi uno dei perni su cui ruota il sistema dell’arte contemporanea: il collezionista non è solo colui che acquista opere d’arte ma è anche il mecenate a cui spesso si devono importanti sviluppi dell’arte di oggi.

CB: Ho avuto il piacere di essere tua ospite sia a piccoli pranzi in galleria che a grandi feste a Venezia, e tu sei un ospite perfetto in tutte le occasioni, principalmente perché possiamo dire che ti stai sempre divertendo. Sono sicura che tu abbia tanti bei ricordi legati a questi momenti. Puoi condividere una di queste storie con me?

MC: Vorrei condividerne una legata proprio alla fiera di Torino e a un collezionista generoso. Qualche anno fa abbiamo organizzato con Ruben Levi, l’Associazione Arte Continua e Artissima una raccolta fondi per Arte x Vino = Acqua. Ruben ha offerto la cena, l’associazione le casse di vino e le litografie numerate e firmate realizzate da Lothar Baumgarten, Richard Hamilton, Roni Horn, Cildo Meireles, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio, la fiera ha invitato i suoi ospiti. Con i fondi raccolti sono stati costruiti pozzi d’acqua a Half Assini in Ghana. Perché non pensare a una raccolta fondi ancora più grande da fare insieme in futuro?

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