Still da video. Renato Leotta / Giovanni Giaretta, EFFETTO MAJORANA (la solfatara, recording of a disapperance), 2014
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Renato Leotta, Black Cirlce, 2015. plaster, volcanic sand, diameter cm. 98
Renato Leotta, White Cirlce, 2015, plaster, sand, diameter cm. 96
Renato Leotta, Stai senza pensieri, 2015, sand, plaster, 96 cm diameter
Renato Leotta, Endless Night, 2015, plaster, sand, shells, diameter cm. 270
«É possibile fermare un’onda con lo sguardo descrivendola in una sola immagine? Il tempo nel suo scorrere diventa un luogo da abitare capace di ridefinire le convenzioni che regolano e determinano la nostra vita.
Ho alternato per diverse giornate in Sardegna l’esercizio di osservazione delle onde alle passeggiate per le sale del Museo Archeologico, l’elemento che accomuna questa esperienza nel procedere é il vento. Un forte Maestrale colpisce il versante nord ovest dell’isola per poi attraversare diagonalmente il Mediterraneo; le persone, gli animali che lo abitano e le architetture che lo compongo, modellandoli.
Un paesaggio morbido carico di temporalità si mescola con quello interiore, una piccola patria composta da elementi primari; ho pensato in questi termini al lavoro che ho perseguito in questi anni, considerando il mare come un orologio.
Sempreé un lavoro ambientale di genere profetico composto da rilievi di spiagge e dipinti ad acqua fluttuanti, presentato in occasione della mostra personale a Napoli.
Ho realizzato i primi rilievi sulla sabbia a Catania con il desiderio di bloccare una traccia che testimoniasse la mia presenza. In estate avevo scoperto per la prima volta da bambino la forma del corpo di una donna e l’avevo riprodotta modellando sulla superficie della spiaggia delle curve che ricordassero la linea dei fianchi ma anche delle maree, come un primo esercizio di architettura e di memoria.
Sulla spiaggia romana tra Cuma e Licola e poi in quella vulcanica di Portici ho riprodotto dei cerchi di sabbia seguendo il riflesso del sole che corre lungo la superficie del mare fino al bagnasciuga.
Lo spazio espositivo della galleria è diviso in due volumi speculari da un doppio arco che mi ricorda l’architettura di Angiolo Mazzoni e i suoi studi su Ernesto Basile nel tempo in cui progettava l’edificio delle poste e telegrafi di Palermo e l’imbarco traghetti della Stazione di Messina Marittima. Ho pensato di utilizzare la luce naturale aprendo le due finestre disposte al fondo della sala per diluire il display con lo spazio esterno nelle diverse fasi del giorno e della notte.
Sulle pareti scorrono delle tele quadrate di carta salata: il movimento, regolato da un sistema meccanico a filo, mette in moto lo spazio rielaborando una percezione partecipata in cui decadono i cliché di fruizione e contemplazione del supporto pittorico. La carta scivola lungo le pareti ricordando un pensiero sotteso e le vele di una imbarcazione».
Renato Leotta, Museo Archeologico Nazionale, 2014
c-print, 30×40 cm, framed european pear
courtesy the artist
Renato Leotta, Piccola Patria, 2015
Exhibition view, Galleria Fonti, Napoli
Renato Leotta concentra la sua ricerca sull’osservazione del paesaggio e dell’architettura pensando la mostra come un racconto regolato dalla continuità del giorno e della notte; un paesaggio determinato dal mare e dalla sua temporalità.
La spiaggia è lo studio dell’artista; una dimensione di lavoro che riflette sull’uomo e sulla sua capacità di collocamento nella sfera del reale e di maturazione dei sentimenti. Questo pensiero è proposto dall’artista come «reazione ad una -improprietà- di natura psicologica che riflette i caratteri della cultura occidentale», indicando un rallentamento come invito all’osservazione.
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«Gli inizi di tutte le cose sono generalmente imprecisi, come nel caso di un racconto ben architettato, nella nascita di un pensiero, o nella concezione della nostra esistenza e della natura dei luoghi che abitiamo.
In principio un’incessante catena di avvenimenti; le dense nubi e le piogge per milioni di anni, la nascita del mare e, poi, dei continenti, la luce pallida del sole interrompeva raramente le lunghe interminabili notti, e infine la vita.
Nel nostro caso questo paesaggio di eventi è composto dalle prove che dobbiamo affrontare e dall’insieme delle vicende che comporranno uno scenario che chiamiamo destino; aspetto che un tempo affidavamo, con più incanto e risolutezza, alla luce degli astri, al sole e alla luna.
Immaginiamo un cavaliere incastrato di fronte a un crepuscolo perpetuo, la sua esistenza si troverebbe privata, o meglio ingannata, del suo poter-essere, in un’immagine che duplicemente sancisce l’inizio ma allo stesso tempo potrebbe delinearne anche la fine.
‘Aventure’ è il termine con cui il cavaliere definirebbe l’oggetto delle sue ricerche; e, attraverso questo, anche se stesso. Una ricerca di meraviglia che dà il via al motore narrativo, un ‘trovare’ il cui significato è presto risolto in ‘comporre poesia’».
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La ricerca incessante di qualcosa o qualcuno che stentiamo a trovare si traduce in viaggio, un topos letterario dominante nella letteratura di ciascuna epoca e area geografica. Da Ulisse a Orlando, Don Chisciotte, Robinson Crusoe, Wilhelm Meister, Sal Paradise – l’elenco è inesauribile –, il viaggio rappresenta il più notevole veicolo di esperienza dell’ignoto, di ciò che, trovandosi fuori di noi, ci è estraneo. Nel romanzo cavalleresco l’insieme degli innumerevoli viaggi – per terre, mari, o a cavalcioni su un ippogrifo – testimonia il desiderio di conoscenza che alimenta incessantemente l’animo dei cavalieri, sbalzati, come sono, da una parte all’altra del mondo.
In una cornice letteraria – la nostra – che deve molto ai cavalieri ma che non ne concepisce più di nuovi, spetta a noi farci esploratori e andare in cerca di una figura di sostituzione, un potenziale condottiero che possa, anche solo per metafora, farci respirare nuovamente l’aria di avventura di cui è ammantato il genere cavalleresco.
Tornando di nuovo al nostro carcerato al crepuscolo, mettiamo adesso che egli non abbia con sé resta, usbergo e schiniere, ma vesta piuttosto i panni di un personaggio che continua a fare avanti e indietro in tre metri cubi di cella, indaffarato a districarsi dagli innumerevoli pensieri e dubbi, dalle idee, immagini e varianti che si dipanano nella sua mente. Facciamo finta che sia un artista. Restando entro i confini della finzione letteraria, che cos’è infatti la sua vita se non una peregrinazione tra indugi, errori e ripensamenti nel regno delle idee, e una costante ricerca tesa al raggiungimento di una causa motrice e finale – l’arte, appunto – che legittima il suo statuto di individuo nella società? La mitologia dell’artista, come quella del cavaliere, è ricca di movimento. Le sue opere, che consideriamo non come atomi irrelati tra loro, ma sezioni interconnesse di un compatto conglomerato visivo, sono i trofei duramente conquistati alla fine di ogni battaglia tra sé e quell’idea pura che ha tentato a forza di tradurre in immagine. L’esistenza letteraria dell’artista è un torneo militare cominciato nella sua mente e continuato tra le pareti imbiancate di una galleria di New York, Parigi o Shangai.
Renato Leotta, Aventura, 2016 installation view @ Mandragoa, Lisbona
Renato Leotta, Un Fatto Completo (madragoa), 2016
c-print,European pear artist’s frame, 36 x 42 cm (framed)
Renato Leotta, Mais ou Menos, 2016
cotton, salt water, 5 elements, 200 x 90 cm. each
installation dimensions variable
Renato Leotta, Aventura (Madeira), 2016
terracotta, sand, 37 x 45 x 40 cm approx.
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