Intervista a Simone Menegoi, curatore della mostra corpo.gesto.postura presentata ad Artissima nella sezione In Mostra
«Il punto di partenza dell’intera mostra è stato un suggerimento di Sarah Cosulich: mi ha proposto di scegliere un tema che avesse un legame con il mio incarico precedente ad Artissima, quello di coordinatore della sezione di performance. Mi è sembrata una sfida interessante, e ho pensato di concentrarmi sulla figura umana. Sono partito da un aspetto che mi appassiona particolarmente: le ricerche artistiche che, dagli anni Sessanta a oggi, hanno concepito la scultura come estensione del corpo – utensile, abito, oggetto da attivare – e il corpo stesso come scultura. Allo stesso tempo, ho cercato nelle collezioni di Torino e del Piemonte sculture figurative, possibilmente in scala 1:1, il cui soggetto fosse il corpo umano. Volevo ricreare quella convivenza fra statue e corpi viventi, impegnati a compiere azioni e ad assumere pose, che avevo cercato di mettere in scena un paio di anni fa in una mostra chiamata Le statue calde (Museo Marino Marini, Firenze, 2014). Questo è stato il nucleo iniziale del progetto, che occuperà uno spazio aperto poligonale (l’“arena”) al centro della mostra». (Simone Menegoi su corpo.gesto.postura)
KABUL magazine: È evidente il legame tra la mostra presentata qui ad Artissima e il progetto che hai sviluppato nel 2014 al Museo Marino Marini, incentrato sul corpo e la scultura performativa. Vorremmo approfondissi l’argomento per capire come hai elaborato ulteriormente la tua ricerca.
Simone Menegoi: L’argomento si è esteso perché la mostra del Marino Marini era stata pensata inizialmente come un progetto internazionale, ma a un certo punto del lavoro è apparso chiaro che con il budget a disposizione era più interessante fare una campionatura coerente e oggettiva di una sola scena, quella italiana. Sono stato felice di fare quella mostra, ma era rimasta la voglia di allargare il discorso. C’erano già delle liste di artisti, e in parte ho potuto trasformare queste liste in realtà, come Erwin Wurm e Franz West. In questo senso questa mostra è uno sviluppo di quella fiorentina. Anche a Firenze c’era l’idea di mettere fianco a fianco sculture figurative e corpi che assumono pose o compiono azioni. Lì la prima proposta era di inserire la mostra all’interno della collezione permanente ma, dopo una lunga negoziazione, è stato chiaro che non era possibile. Abbiamo allora creato un legame a distanza: la mostra stava nella cripta, mentre quelle permanenti nella parte superiore del museo. Il legame esisteva ma non era visivamente evidente. Qui ad Artissima, invece, è stato possibile realizzarlo.
K. m.: Una cosa che balena subito alla vista è la tipologia di allestimento che hai scelto e realizzato per lo spazio. Una simile scelta, all’interno di un contesto fieristico, sembra funzionale a creare una sorta di isolamento, un ambiente immersivo in cui il visitatore può rallentare dai ritmi richiesti dalla fiera: una scelta che ci sembra in contrapposizione con quella di Stefano Collicelli Cagol, che l’anno scorso ha presentato un ambiente più aperto, collocando le opere nello spazio senza tentare di circoscriverle. Da cosa è scaturita la tua scelta? Ha delle ragioni legate alla possibilità di costruire uno spazio per il visitatore e renderlo ancor più partecipe all’interno della mostra?
S. M.: L’anno scorso Stefano ha fatto un ottimo lavoro, pensando di proposito a un allestimento privo di direzioni: erano tutte possibili e compresenti. Ciò offriva dei vantaggi e degli svantaggi per via, come alcuni hanno notato, della mancanza di un percorso definito e di una zona di maggiore intimità per le opere a dimensione ridotta. Ho fatto tesoro di queste osservazioni e al centro della mia mostra ho adottato un approccio simile a quello di Stefano. Al primo colpo d’occhio si abbraccia già l’intero spazio e si ha un’idea di cosa contenga. Era questo il senso di tale proposta, ovvero mostrare subito i corpi fianco a fianco con le statue. Tutt’intorno c’è un percorso da attraversare in senso orario, con 9 sale più intime in cui è possibile incontrare atmosfere molto diverse tra loro.
K. m.: Nel catalogo della mostra citi le interpretazioni che Rosalind Krauss e Jacques Rancière hanno dato dell’opera di Rodin, mettendone in luce l’aspetto antipsicologico nella trattazione del corpo. Vorremmo chiederti di approfondire ulteriormente quest’argomento e vedere se è possibile inquadrare le opere che, invece a nostro avviso non sembrano essere in linea con questo aspetto: ad esempio il video di Babette Mangolte (Water Motor, 1978) ci sembra vada in una direzione opposta a quella antipsicologica.
Dario Giovanni Alì, Valeria Minaldi, Francesca Vason