Anna Daneri: La venticinquesima edizione di Artissima si aprirà a Torino il 2 novembre prossimo. Un’edizione speciale, un traguardo importante per la fiera fondata nel 1994. Quale migliore occasione del suo venticinquennale per ripercorrerne la storia con il suo “inventore”, Roberto Casiraghi. Ci può raccontare com’è nata l’idea di Artissima?
Roberto Casiraghi: Ho lavorato nel mondo delle fiere già dalla fine degli anni Settanta e nel 1981 ho iniziato una collaborazione con Giorgio Mondadori per le nuove iniziative editoriali e i Cataloghi d’arte; questo mi ha portato a contatto con gallerie, artisti ed antiquari e a consolidare l’esperienza di fiere con le Internazionali di Antiquariato di Napoli a fine anni Ottanta. Si era nel frattempo costituito un eccellente gruppo di lavoro intorno a Paola Rampini e a me, e ritenemmo possibile lo spazio per una nuova fiera d’arte in Italia; scegliemmo Torino anziché Milano per la sua storia di movimenti artistici, collezionismo e gallerie, il luogo quindi migliore dove tentare l’avventura.
Artissima è stata la prima fiera italiana ad aprirsi alle gallerie straniere. Scorrendo le varie edizioni, i numeri parlano chiaro: si è passati da 123 gallerie da 7 paesi della prima, alle 172 da 19 paesi dell’edizione del 2006, per un totale, a oggi, di 1391 gallerie provenienti da 63 paesi. Quali sono le ragioni della sua attrattività internazionale? A quali modelli avete guardato?
RC: Artissima negli anni ha creato essa stessa un format unico nel panorama delle fiere internazionali: dedicata esclusivamente al contemporaneo, unisce gallerie emergenti in maniera paritetica con gallerie più consolidate, con una grande attenzione alla qualità. Tutto ciò ha messo in moto un interesse da parte di espositori anche internazionali e conseguentemente in modo analogo di un pubblico di collezionisti e di addetti ai lavori. Una ulteriore considerazione è che l’internazionalità del mercato e dei suoi protagonisti è più legata al contemporaneo che al moderno; a parte alcune eccezioni, quest’ultimo attiva ed ha un pubblico di carattere più nazionale.
AD: Torino come luogo del contemporaneo, con una rete istituzionale che non ha eguali in Italia. Come vi siete relazionati con la città?
RC: Nel 1994 non esisteva la rete intesa come oggi la conosciamo; solo Rivoli, unico museo di arte contemporanea in Italia, stava acquisendo notorietà e operava da una decina d’anni. Sempre in quel periodo la riapertura della GAM, dopo molti anni di chiusura per lavori di ristrutturazione, la nascita della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e ancora dopo, nel 2005, della Fondazione Merz, hanno creato un clima favorevole per la nascita e lo sviluppo di una serie di operatori tale da far ritenere Torino capitale dell’arte contemporanea in Italia. La rete istituzionale che oggi esiste, seppure con grandi difficoltà strutturali e di visione, è frutto di quel fermento e Artissima ha avuto il merito, fra gli altri, di porre in quegli anni la città al centro di un percorso virtuoso complessivo che riusciva a coinvolgere tutti i principali attori (gallerie, musei, fondazioni, artisti, critici, curatori, amministratori, informazione) rendendoli contemporaneamente protagonisti. E Artissima è stata il volano di quel fermento.
AD: Artissima è diventata sinonimo di sperimentazione e attenzione agli artisti emergenti. Quando avete deciso di puntare esclusivamente al contemporaneo?
RC: Premesso che Artissima come tutte le fiere d’arte ha come interlocutore unico le gallerie ed è fatta per loro; è il tipo di lavoro delle gallerie che ne caratterizza il contenuto. Artissima per 13 anni non ha mai parlato agli artisti ma solo ai galleristi; la nostra ricerca, le indicazioni che davamo e ricevevamo dai Comitati erano sempre dirette a ricercare gallerie qualitativamente significative per il proprio mercato di riferimento. Per il pubblico di Artissima la galleria costituiva la garanzia di presentazione di artisti. L’interlocuzione diretta con gli artisti da parte di una fiera non è un fatto solo formale ma sostanziale per una corretta distinzione di ruoli, chiarezza di rapporti, relazione con i collezionisti e il pubblico in generale. Artissima è nata come fiera classica, oggi si direbbe “generalista”, che univa arte moderna e contemporanea e dopo alcuni anni – stava finendo il secolo – per distinguerci nel panorama nazionale e soprattutto internazionale abbiamo deciso di dedicarci esclusivamente al contemporaneo perché, come detto sopra, la contemporaneità era rappresentata da una fascia di gallerie più internazionali.
Quella che abbiamo operato in quegli anni è stata una scelta per creare una nuova visione del mercato, fortemente internazionale, con gallerie che trattavano esclusivamente arte contemporanea di qualità e inserendo, prima fra le grandi fiere, molte gallerie giovani accanto ad altre prestigiose e consolidate da tempo.
AD: Fin dagli esordi ha coinvolto curatori nel comitato scientifico e nella realizzazione di progetti speciali. Uno di questi, Present Future, è diventato una sezione che si tiene tuttora. Quanto ha contribuito il lavoro di squadra a far crescere la fiera?
RC: Il coinvolgimento di curatori nasce prevalentemente nel 2000 con la presentazione di due nuove sezioni che “resistono” tuttora: Present Future, rivolta a progetti artistici di un unico artista e che ha ottenuto la collaborazione di Illy e New Entries rivolta a gallerie nate da meno di cinque anni che partecipavano per la prima volta ad Artissima.
Nel tempo sono cambiati vari personaggi tra i membri dei comitati, composti da galleristi, collezionisti e curatori anche per riflettere il mutato obiettivo di Artissima e renderla sempre aggiornata di anno in anno e sempre più presente nel panorama internazionale. Anche il gruppo di lavoro interno ha una parte rilevante del merito del successo di Artissima, e in alcune posizioni chiave è ancor oggi il medesimo che si è formato con noi; persone che hanno avuto il merito di conquistarsi il rispetto e la stima delle gallerie per la professionalità e la presenza in ogni regione ed in ogni parte del mondo per scoprire le novità e migliorare costantemente la fiera.
AD: Time is on our side… Ilaria Bonacossa ha voluto dedicare la prossima edizione della fiera al tempo per celebrarne la storia, guardando anche al futuro, con nuove iniziative come la sezione Sound. Qual è il suo augurio per i venticinque anni di Artissima?
RC: Venticinque anni di vita sono un traguardo importante nel mondo dell’arte contemporanea che vive di emozioni spesso effimere; e la meta è ancora più preziosa perché realizzata in Italia e a Torino dove l’arte più praticata è il disfattismo, l’invidia ed il lamento. Certamente è contato molto rischiare in proprio come nelle prime tredici edizioni di Artissima, piuttosto che essere un “dipendente”, ma negli ultimissimi anni ho notato una partecipazione e una passione rinnovata; a me pare che Ilaria abbia idee chiare per lo sviluppo della fiera, pensi al futuro del progetto e del prodotto, abbia uno sguardo lungo, non solo fisso sul presente. Se avrà la serenità che la politica le deve offrire, saprà dialogare con le iniziative che contribuiscono al successo della settimana del contemporaneo rispettandone le tipicità e prerogative, avrà il successo che merita. Lei e Artissima.