Nicola Ricciardi: Caro Hou Hanru, il suo legame con l’Italia ha origini lontane, che risalgono ai primi anni ’90 – quando frequentò il neonato corso per curatori del Centro Pecci di Prato – e si è consolidato con le numerose partecipazioni alla Biennale di Venezia in veste di curatore: il Padiglione Francese nel 1999, Z.O.U. – Zone Of Urgency nel 2003, il Padiglione Cinese nel 2007…
Hou Hanru: Si, è una lunga storia. Prato è certamente stato il punto di partenza di questo viaggio, ma nei primi anni del 2000 ci sono stati numerosi punti di contatto oltre a Venezia, come ad esempio le partecipazioni ad Arte all’Arte, sempre in Toscana, o a Fuori Uso, a Pescara. Si può dire che ho una certa dimestichezza e famigliarità con la scena artistica italiana.
NR: Nel 2013 l’Italia è poi diventata anche un po’ casa, almeno da quando è Direttore Artistico del MAXXI a Roma. E proprio a quello stesso anno risale anche la sua prima partecipazione ad Artissima, come uno dei curatori della sezione Back to the Future.
HH: Si, e se non ricordo male credo di essere stato invitato prima a Torino – era l’inizio del 2013 – rispetto a quando presi la decisione di andare a Roma, che fu solo nell’agosto di quello stesso anno.
NR: Che ricordo ha di quell’esperienza torinese?
HH: Lo ricordo come un momento storico molto interessante. A quel tempo l’attenzione sulle fiere, almeno in Italia, non era così alta. La rassegna principale era certamente ancora Bologna, mentre Miart si può dire che non fosse quella che è oggi. Artissima per me, a quei tempi, rappresentava la fiera “nuova”, quella che proponeva lavori insindacabilmente contemporanei, con numerose gallerie giovani che si affacciavano per la prima volta sul mercato. Era una fiera davvero molto dinamica. Lo è ancora, ma è sicuramente diventata molto più affermata. Quella poi fu per me un’esperienza molto positiva perché mi permise di riscoprire il lavoro di molti artisti italiani che conoscevo poco. Penso ad esempio a Piero Gilardi.
NR: Un torinese d.o.c. al quale, se non ricordo male, proprio il MAXXI ha recentemente dedicato una grande mostra monografica.
HH: Esatto. Durante quell’esperienza ad Artissima il suo lavoro mi rimase impresso in maniera così significativa che decisi di invitarlo a fare una mostra a Roma, qualche anno dopo. Ne parlai ovviamente con Bartolomeo Pietromarchi, ma la scelta di Gilardi si inseriva perfettamente in una delle traiettorie che ho sempre cercato di sviluppare da quando sono al MAXXI, ovvero quella di presentare grandi artisti italiani che non sono stati riconosciuti abbastanza. Insomma, niente Arte Povera…
NR: Trovo interessante come una scelta curatoriale si possa ricondurre a un’esperienza vissuta in una fiera commerciale. D’altronde il confine tra fiere come semplice marketplace e fiere come ambiziosi luoghi di cultura si è ormai fatto sempre più labile. Lei che idea si è fatto di questo fenomeno?
HH: Penso si tratti di un interessante cambiamento all’interno dell’ecologia del mondo dell’arte, che tuttavia trova origine già a partire dagli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. Credo si possa far risalire alle prime esperienze di ARCO a Madrid, una fiera che nelle intenzioni del governo di allora doveva servire da infrastruttura per produrre un discorso culturale, in assenza di biennali significative nella regione. Venivano infatti promosse sezioni tematiche, focus sui singoli paesi – specie dell’area sudamericana – conferenze internazionali… Da allora il modello è stato riprodotto, sviluppato, esteso. Oggi non credo che nessuna fiera al mondo possa fare a meno di sezioni e panel curatoriali. Certo, in parte sembra una contraddizione promuovere da un lato logiche di mercato e dall’altro cercare di portare avanti un discorso culturale ma credo si tratti comunque di una transizione positiva.
NR: A tal proposito, quest’anno ad Artissima verrà inaugurata una nuova sezione interamente dedicata alla sound art, con una quindicina di progetti monografici incentrati sul suono (Artissima Sound, che si terrà presso le OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino).
HH: Si, lo trovo fantastico. Per me la sound art è sempre stata un campo di esplorazione e sperimentazione importante. Non a caso uno dei miei primi progetti al MAXXI fu proprio una mostra dal titolo Open Museum Open City per la quale svuotammo l’intero museo al fine di riempirlo di sole installazioni sonore. L’idea era quella di verificare quanto il lato immateriale della creazione potesse esistere (e resistere) all’interno dello spazio espositivo. Applicato ad una fiera quel discorso diventa ancora più interessante, perché come si colleziona un suono? È una bella sfida.
NR: Verrà ad assistere a questa sfida di persona, questo novembre a Torino?
HH: Lo spero proprio, dipende solo da quando sarà l’annuale cena di gala del MAXXI, che dovrebbe purtroppo cadere in quello stesso periodo. Ma vorrei davvero venire, anche solo per un giorno. E in particolare per vedere il lavoro che sta facendo Ilaria Bonacossa, una persona fantastica, di cui ho seguito da vicino le avventure a Genova, a Villa Croce.
NR: In generale, frequenta spesso le fiere d’arte in giro per il mondo?
HH: In tutta onestà non molto, ma solo per una questione di organizzazione del mio tempo, che è fortemente legato a quello del museo. Però vorrei frequentarle di più. Le fiere non sono solo un luogo di incontro con i propri colleghi, ma anche un osservatorio privilegiato per testare la temperatura della scena dell’arte, anche attraverso le inevitabili prospettive del mercato. Un esercizio che sta assumendo sempre più peso, ma che permette comunque di accedere a diversi punti di vista, il che ovviamente è una pratica sempre e comunque positiva.
NR: A questo punto non posso che rinnovare l’augurio di incontrarla per gli stand di Artissima quest’inverno.
HH: Sì, me lo auguro anche io!