Sesto appuntamento con Artissima Questions and Answers. Oggi parliamo con la co-curatrice del progetto espositivo Deposito d’Arte Italiana Presente: Vittoria Martini.
Quando eri bambina, cosa volevi fare da grande?
Più che da bambina, da ragazzina avrei voluto diventare una scrittrice dalla vita drammatica tipo sorelle Brontë.
Cosa ti ha spinto a lavorare nel mondo dell’arte?
In realtà non sono mai stata fuori dall’arte. Il passo l’ho fatto dall’arte moderna a quella contemporanea. All’università il corso di storia dell’arte contemporanea era stato bellissimo e monografico, ma su Cézanne. È stato dopo quell’esame che mi sono resa conto che non mi bastava più studiare sui libri, ma volevo lavorare con l’arte nel suo farsi.
Con quale artista storico prederesti volentieri un drink e dove?
Berrei una birra, ma soprattutto mangerei moules-frites in un bistrot di Bruxelles con Marcel Broodthaers tra il 1964 e il 1967.
Cosa ti interessa maggiormente dei più recenti sviluppi dell’arte italiana?
Il Deposito affronta gli ultimi venti anni di arte italiana e il maggior numero di presenze riguarda gli artisti nati negli anni ’70, la mia generazione. È un interessante punto di vista. La generazione prima, quella nata negli anni ’60, è stata l’ultima che ho studiato sui libri e mi sono poi trovata a lavorare con quella successiva alla mia, quella degli anni ’80. Tutti abbiamo in comune l’esperienza di una rivoluzione tecnologica e dei rapporti sociali, il fatto che il mondo di oggi sia completamente un altro rispetto a quello di soli venti anni fa. In un mondo in cui si tende a surfare sulla complessità delle cose, mi interessa l’utilizzo della conoscenza intesa come nel ‘900, cioè come strumento e molti artisti italiani trovo stiano facendo una grande ricerca sui materiali, sulla narrazione, sulla storia, offrendo complessità, nuove immagini e punti di vista sul nostro tempo.
1967-2017: 50 anni di Arte Povera; c’è un libro, una figura di quegli anni che ti ha particolarmente ispirata?
In questo periodo sto lavorando all’analisi di una mostra di Germano Celant della metà degli anni ‘70. Sembra scontato citare il suo nome parlando di Arte Povera, ma seguendo il filo degli scritti e delle riflessioni di Celant dal 1967 al 1980, emerge una coerenza e una complessità di connessioni e rimandi che fanno di lui una figura gigantesca e imprescindibile per la comprensione di quel periodo storico.
Cos’è l’Arte in 10 parole?
Rispondo come risponderebbe Thomas Hirschhorn: “Art is resistance as such. Art, in its resistance, is movement, intensity, belief, positivness”.
Qual è il tuo libro d’arte preferito?
Mary Anne Staniszewski, The Power of display: il libro che mi ha fatto scoprire la storia delle mostre e che resta un canone per l’analisi delle mostre nel contesto culturale più allargato.