Fernanda Brenner: Puoi raccontarmi brevemente la storia della collezione, come è cominciata, specialmente come hai definito le aree tematiche e come orienti le tue scelte?
Pedro Barbosa: Abbiamo comprato una prima opera nel 1999, un lavoro di Jesús Rafael Soto. Ci eravamo molto entusiasmati a una mostra al MoMA che trattava arte cinetica. Mia cugina Raquel Arnaud rappresentava Soto in Brasile e ha facilitato l’accesso a questo mondo. All’inizio la collezione si sviluppava molto intorno al programma di Raquel e all’arte brasiliana e latino-americana. Con la crisi del 2008 arrivarono le opportunità per cominciare a guardare lavori internazionali… ma al tempo non ritenevo ancora di avere una “collezione”.
FB: E questo quando è cambiato?
PB: Quando cominciai a comprare i contemporanei brasiliani con più enfasi, intorno al 2010, ricordo di aver comprato una mostra di Jonathas de Andrade quasi intera. È stato allora che la collezione ha cominciato a prendere forma. Siccome stavo già guardando più ad artisti internazionali ho pensato che sarebbe stato interessante avere un aiuto per costruire questo insieme di opere, quindi ho iniziato a collaborare con il curatore italiano Jacopo Crivelli Visconti, allora uno dei pochi professionisti in Brasile che avesse una conoscenza specifica e accesso alla scena internazionale, in particolare per quanto riguarda lavori concettuali. Abbiamo cominciato a collaborare nel 2012, e abbiamo pensato a un piano decennale per strutturare la collezione, focalizzandola essenzialmente sull’arte concettuale a tema politico.
FB: Puoi farmi degli esempi?
PB: Alcuni artisti che abbiamo seguito e comprato all’inizio sono stati Iman Issa, Haris Epaminonda e Meriç Algün. Poi siamo andati nella direzione degli artisti americani storicizzati, specialmente tutto il gruppo di Seth Siegelaub, Robert Barry, Lawrence Weiner, Smithson…
FB: Come è stato il percorso che ti ha portato a collezionare ephemera e materiale d’archivio, che è abbastanza inusuale in Brasile? Diresti che è avvenuta una specie di “de-oggettificazione” della collezione?
PB: A partire dall’interesse per i concettuali americani, ho capito che una parte interessante di questa produzione consisteva in riviste, poster e annunci. Come l’Inert Gas Series di Robert Barry e la rivista Aspen, per esempio.
FB: Hai cominciato comprando lavori iconici e sei andato riempiendo le lacune con il materiale di ricerca?
PB: Esatto. I primi libri che abbiamo comprato furono quelli di Stanley Brouwn. In realtà è una storia divertente: ho cominciato a fare ricerca in maniera più approfondita su questo materiale dopo che il coniglio di mia figlia ha mangiato uno dei libri di Brouwn! Mi sono infuriato e sono andato in internet per cercarne un altro ed è stato allora che ho capito quante cose ci fossero disponibili. Sono entrato in contatto con i canali di ricerca e scambio online. In quello stesso periodo abbiamo cominciato a comprare anche molti video. Quindi direi di sì, c’è stata una specie di transizione; oggi quasi non compriamo oggetti.
FB: Com’è il processo di ricerca e i criteri di selezione del materiale d’archivio? Lo fai tu personalmente?
PB: Lo faccio io stesso! A volte passo anche due anni cercando un documento o una rivista, come è successo con un numero di Manchete, in cui c’era un reportage che documentava un’azione in cui gli artisti del movimento Poema Processo strapparono libri a Rio de Janeiro nel 1968. Prima ho scoperto che esisteva, poi l’ho cercata in librerie e forum fino a che finalmente ne ho trovata una copia. Io vado su internet tutti i giorni per cercare materiale. Oggi sono in cerca di quattro o cinque pubblicazioni di cui sto tentando di comprare tutte le edizioni. Tutti mi conoscono in questo campo ed è in questo processo che apprendo, leggo molto, è un’avventura…
FB: E hai già pensato a una destinazione per questa parte della collezione? A renderla pubblica?
PB: Si, il mio obiettivo è donare tutto. Mi piacerebbe donarla a un’università in Brasile. Forse tra una ventina d’anni. Penso che moltiplicherò per dieci l’archivio attuale per allora. Riceviamo sempre ricercatori e persone che vogliono vedere questo materiale. Io direi che l’archivio è ben sistematizzato… l’ho organizzato tutto io stesso. Ho creato sezioni specifiche per ogni artista. Oltre a scaffali per dischi, libri d’artista, collezioni complete di pubblicazioni e cataloghi di biennali, abbiamo alcuni pezzi fantastici, come fanzine brasiliane degli anni ’80, cose che erano state buttate via e anche audio in K7 di poesia sonora… La mia attenzione è rivolta verso quello che sparisce facilmente, che viene sottovalutato. Mi sono interessato a registri di performance e danza, e ultimamente sto prestando più attenzione alla musica…
FB: Un altro aspetto interessante della collezione è che ha una dimensione istituzionale. Voi favorite scambi tra gli artisti, mantenete un appartamento per ricevere stranieri, così come finanziate alcune mostre a partire dalla collezione attraverso partnership istituzionali o invitando giovani curatori. Potresti parlarmi un po’ di come pensi queste proposte e cosa indirizza le tue scelte?
PB: La residenza è cominciata con l’idea di portare stranieri in Brasile e mandare i brasiliani all’estero. Abbiamo due programmi di borsa fuori dal Brasile, uno con la Delfina Foundation a Londra e un altro con Jimmie Durham e Maria Thereza Alves. Abbiamo fatto un progetto anche con il Castello di Rivoli. Quello che mi interessa è divulgare la qualità di quello che c’è qui, creare opportunità d’interlocuzione, aprire porte. Io vivo invitando le persone a venire in Brasile e quando posso contribuisco perché ci siano più mostre di artisti brasiliani nelle istituzioni internazionali. Faccio sempre menzione di artisti locali in cui credo nei consigli di cui sono membro e alle istituzioni che appoggio. Per quanto riguarda le mostre, io citerei quella che abbiamo fatto in collaborazione con la Biblioteca Mario de Andrade in cui Robert Barry è stato mostrato per la prima volta in Brasile. In quell’occasione volevamo parlare un po’ dell’idea di conflitto d’interesse, tanto il nostro – nel rendere possibile e installare questa mostra – quanto quello del sistema in generale. È stata un’occasione interessante per mostrare una parte della collezione.
FB: Approfittando dell’aggancio alla mostra mi piacerebbe parlare della tua posizione critica rispetto all’“ecosistema” dell’arte in Brasile e a come si fanno circolare informazioni e oggetti in questo settore. Vogliamo parlare un po’ della struttura del sistema e come questo impatta inevitabilmente la tua collezione?
PB: Si tratta di mantenere una posizione etica e trasparente in relazione alle proprie scelte, questa è la cosa più importante. Io considero il mercato brasiliano molto complicato. C’è una mentalità provinciale, chiusa in generale. Penso che dovrebbe esserci più interazione con il mercato internazionale, e più permeabilità nelle istituzioni e tra le gallerie. Ci sono molte cose interessanti che potrebbero essere facilmente portate in Brasile.
FB: Tu viaggi molto, segui tutto da vicino. Come scegli dove andare e quando? Andrai ad Artissima?
PB: Io vado in cerca di belle conversazioni sull’arte e non sulla circolazione di prodotti e sul mercato. Per questo tendo ad evitare le fiere. Mi piacciono particolarmente Artissima e le gallerie italiane, ho un’ottima relazione con i galleristi italiani. Citerei Massimo Minini che è un grande punto di riferimento per l’arte concettuale e per questo lo ammiro molto. Penso che Artissima sia una fiera calma, concentrata, in cui è possibile avere un dialogo vero sull’arte. Non sento l’ansia del mercato e del sistema in quell’ambiente.
Note:
Manchete è stato un periodico di approfondimento brasiliano pubblicato settimanalmente dal 1952 al 2000 da Bloch Editores.
Poema Processo è stato un movimento artistico d’avanguardia sviluppatosi in Brasile tra il 1967 e il 1972, nel pieno della Dittatura Militare.