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Dopo la seconda guerra mondiale, un industriale decise di convertire i macchinari fino a quel momento utilizzati per la fusione delle bombe in apparati per la produzione di caschi asciugacapelli per i saloni di bellezza. Le sofisticate tecnologie della guerra si trasformarono così in dispositivi per il perfezionamento del “corpo” come concetto socialmente e culturalmente determinato. Nello stesso momento storico l’arena politica iniziava a parlare di genere, di un’identità sessuale non più naturale, ma piuttosto artificialmente costruibile – e, di conseguenza, mercificabile.
Nel 1971 un gruppo di lesbiche armate di salami attaccarono il Professor Jérôme Lejeune mentre teneva una conferenza contro l’aborto. L’evento segnò la nascita del “Commando Saucisson” (commando salame), attorno al quale si sarebbe riunito poco più tardi il Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire. Nella protesta, i salami diventavano una parodia degli strumenti tradizionali della politica: i manganelli della polizia e i falli del patriarcato.
Qualche anno fa, un artista ha prodotto “Asstral Traveller”, un butt plug in coprolite: guano fossilizzato di dinosauro risalente a 140 milioni di anni fa. L’uso di questo oggetto, una tecnologia pensata per la produzione di piacere tramite la stimolazione anale, consente l’apertura di un varco spazio-temporale. L’ano che ospita il plug diventa un organo post-identitario, trascendendo non solo la distinzione tra identità sessuali, ma anche la divisione tra umano e non umano, organico e inorganico, presente e futuro.
Alcune opere in mostra evocavano la stretta relazione tra forme contemporanee di piacere e forme globalizzate di consumo, confrontandosi con le ambivalenti conseguenze della virtualità. Altri lavori esploravano tecniche di appropriazione e travestitismo come momenti emancipatori di produzione di soggettività che sfuggono le categorie culturali dominanti. Infine, la mostra si focalizzava sul corpo, come involucro poroso per l’incontro di organismi e interessi diversi, macchinario somatico e politico i cui orifizi possono diventare canali per la sperimentazione collettiva di nuove mitologie.
Nelle parole dei curatori: “Se le esperienze radicali degli anni Settanta invocavano le strategie emancipatorie e rivoluzionarie del desiderio come possibilità di fuga dagli apparati di controllo capitalistici, la ‘società libidinale’ contemporanea sembra aver addomesticato il desiderio, indirizzandolo verso oggetti di consumo e stili di vita normalizzati, suggeriti online da strutture algoritimiche. Termini come piacere, sesso e amore sembrano essere stati così completamente integrati in quello che è stato definito da Paul B. Preciado un ‘regime farmacopornografico’. Che tipo di strategie e alleati esistono oggi per riappropriarsi del desiderio, emancipandolo dalle dicotomie e dai valori imposti dal tecno-patriarcato?”. Mutuando il titolo dell’omonimo saggio di Luciana Parisi, la mostra Abstract Sex opera in un contesto in cui la nostra soggettività è solo una delle forze che attraversano il corpo, il quale è diventato una piattaforma di scambio di informazioni, dove le micro-politiche di batteri e virus si scontrano con le macro-politiche del sistema socio-culturali ed economico che ci circonda. In un’epoca storica in cui la definizione stessa di “essere umano” è sempre più negoziabile, Abstract Sex ha suggerito temi come la disidentificazione, la post-pornografia, l’opacità e l’ibridazione come possibili ambiti di produzione di autonomia.