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#ArtissimaLive | Pietro Derossi & Catherine Rossi – PIPER. Learning at the discotheque

5 Novembre 2017 Journal News

“…tutto era movibile, interscambiabile, trasformabile, tanto che perfino le luci si muovevano attraverso un sistema di binari sul soffitto. La creatività del club era davvero presente in ogni volume, in ogni complemento d’arredo”.

Fra i tanti incontri e interviste del programma PIPER. Learning at the discotheque, nel corso della seconda giornata di Artissima 2017, si è tenuto quello tra Pietro Derossi (architetto del PIPER) e Catherine Rossi (storica del design) dal titolo “Piper and Beyond”.
Pietro Derossi, oltre ad essere l’architetto della struttura del Piper, ha progettato anche il programma di attività che si sono tenute nella discoteca torinese dal 1966 al 1969: 32 mesi con una programmazione di 60 spettacoli circa. Una frequenza di eventi molto intensa se si pensa che l’attività del club torinese è durata poco più di tre anni.
Nella conversazione Derossi ha più volte ribadito che uno dei punti di forza del Piper fosse proprio la sua struttura flessibile: “uno spazio architettonico non dovrebbe essere chiuso e ‘contemplato’, ma modificabile e vissuto, deve essere uno spazio in attesa, che si modelli a seconda delle persone che ne fruiscono”.
Non sorprende che questo sia stato il concept del Piper, nato in anni tumultuosi e di grandi cambiamenti e sperimentazioni, alla fine degli anni ’60 e alla vigilia del ’68. Il Piper non era come gli altri locali di Torino, anzi, Derossi stesso sottolinea che, prima della sua discoteca, nella città piemontese esistevano solo formali sale da ballo. La flessibilità del Piper era determinata anche dagli oggetti al suo interno, dall’arredo, dagli strumenti usati per gli spettacoli musicali, dalle luci: tutto era movibile, interscambiabile, trasformabile, tanto che perfino le luci si muovevano attraverso un sistema di binari sul soffitto.
Le scale erano “musicali” e progettate in modo che, scendendole o salendole, ogni gradino suonasse una nota diversa. L’idea del Piper è nata in opposizione alla struttura classica dello spettacolo della sua città, tant’è che dopo poche settimane ha rischiato di chiudere. È stato proprio grazie a Derossi e sua moglie che il locale rimase aperto, in quanto furono abili a gestire con successo le tante ed eterogenee attività che si sono susseguite nel tempo. Furono molte le richieste da parte di artisti, musicisti, performer per prendere parte al progetto. In seguito, però, il clima politico si fece aspro e più radicale, a tratti violento: per questo motivo e per la mancanza di fondi sufficienti, l’avventura del Piper finì nel 1969.
Secondo Derossi, il motivo del  rinnovato interesse nei confronti del Piper negli ultimi anni è dato da una nostalgia intrinseca di questa generazione: quella di un mondo più aperto e sperimentale. Anche i politici citano spesso l’idea di “partecipazione” nei loro comizi, accompagnandoli allo slogan “Riprendiamoci la città”. Ma questo concetto rimane vacuo, superficiale, mai messo in pratica.
Per Catherine Rossi il fulcro della questione è un’altro: in primis crede che la storia di questi locali storici, soprattutto in Inghilterra, sia rimasta nascosta per molti anni e che solo ora la si stia riscoprendo. Sono luoghi che hanno rifiutato i dettami dati dall’industria dell’architettura e anche per questo l’interesse nei loro confronti è decisamente aumentato. Ma la motivazione è anche un’altra: le statistiche dicono che in Inghilterra negli ultimi anni moltissime discoteche stanno chiudendo. Come mai? La società sta cambiando, il modo di socializzare pure. E queste sono verità con cui anche le città e le istituzioni, ma soprattutto i modi in cui lo spazio è organizzato, devono fare i conti.
Derossi spera che si possa ripartire da nuove discoteche per rilanciare le città e che la città stessa diventi un luogo di sperimentazione, in futuro, proprio come lo erano le discoteche negli anni ’60, prima tra tutte, il “suo” Piper.

Artissima17, Piper, Piero Derossi Credits: Perottino – Alfero – Bottallo - Formica

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