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Percorso 04
Una possibilità di indagare le numerose trasformazioni e le infinite variabili contemporanee di una tra le più antiche arti, che oggi si apre a continue ricodifiche e a nuove interpretazioni.
Tappa 01
Corridoio fucsia 8
02.43
Tappa 02
Corridoio fucsia 13
05.30
Tappa 03
Back to the Future BTTF 7
08.07
Tappa 04
Disegni D 4
10.13
Tappa 05
Corridoio grigio 12
13.00
Tappa 01
Corridoio fucsia 8
02.43
Tappa 02
Corridoio fucsia 13
05.30
Tappa 03
Back to the Future BTTF 7
08.07
Tappa 04
Disegni D 4
10.13
Tappa 05
Corridoio grigio 12
13.00
Buongiorno! Ti diamo il benvenuto ad Artissima 2024. Questo è il progetto AudioGuide e stai ascoltando il percorso numero 4 intitolato I mille volti della scultura e dedicato allo stato della scultura internazionale. Con scultura si intendono comunemente l'arte di dare forma ad un oggetto partendo da un materiale grezzo o assemblando tra loro differenti materiali, ma anche il prodotto finale, cioè qualsiasi oggetto tridimensionale ottenuto con una precisa funzione artistica. Da sempre la scultura è stata protagonista della storia dell’arte. Basti pensare alla statuaria greco-romana, simbolo di perfezione anatomica e morale, tanto glorificata nei secoli dalla letteratura da essere definita "classica", quindi metro insindacabile di confronto con tutte le altre forme d'arte. Proprio per questo suo essere modello indiscusso dei valori dell'arte antica volto alle generazioni moderne, una buona fetta della storia della scultura occidentale si può riassumere in un alternarsi di allontanamenti e riscoperte del naturalismo classico (sempre da contestualizzare con significati e contorni via via diversi). Note sono le considerazioni di stampo neoplatonico di Michelangelo Buonarroti, maestro indiscusso del Rinascimento, sulla scultura quale tecnica da lui privilegiata per la possibilità di liberare la forma dalla materia grezza; ma anche le precise parole di Johann Joachim Winckelmann, teorico del Neoclassicismo, che verso la fine Settecento elogiava la statuaria greca come fondamento indiscutibile di un’arte che dovesse rispondere ai canoni di “nobile semplicità” e “quieta grandezza”. Il progressivo distacco da questo circolo vizioso ha inizio nell’Ottocento, secolo dominato da un più ampio eclettismo e dal progresso tecnologico, che anche in ambito artistico ha introdotto nuovi materiali a fianco dei più tradizionali. Si arriva quindi al Novecento con la diffusione delle Avanguardie e dell’Informale, alla totale messa in discussione di tutti i precedenti vincoli tecnici, estetici e di verosimiglianza con il soggetto rappresentato. Questo breve percorso intende offrire la possibilità di indagare le numerose trasformazioni e le infinite variabili contemporanee della scultura, che oggi si apre ancora a continue ricodifiche e a nuove interpretazioni. Le audioguide sono state sviluppate per Artissima dalle mediatrici e dai mediatori di Arteco. Questo percorso è stato curato da Martina Furno. Siamo pronti per partire. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Albion Jeune che si trova nella sezione New Entries al numero 8 sul corridoio fucsia, dove cominceremo il nostro tour. Schiaccia play una volta che sarai lì.
Iniziamo in nostro percorso dalla galleria Albion Jeune di Londra, che partecipa ad Artissima nella sezione New Entries con le opere dell’artista serba Ivana Bašić. Ivana Bašić, nata nel 1986 a Belgrado e oggi attiva a New York, affronta nelle sue opere i temi della vulnerabilità e della trasformazione del corpo umano, incanalando in esse vicissitudini e traumi personali, molti dei quali attribuibili alla sua giovinezza trascorsa in Serbia durante lo sgretolamento della Jugoslavia. La stessa artista afferma che è per lei necessario immedesimarsi completamente nei materiali che sceglie di impiegare, così da per poter esplicitare meglio che cosa sia veramente un corpo ferito, come se il suo lavoro fosse una traduzione diretta delle sue paure e del suo dolore, che sono anche le paure e il dolore di tutti noi. Le sue sculture sono fatte di materiali scelti con cura, che hanno proprietà narrative: cera, vetro, acciaio e alabastro. Esse, realizzate in scala umana, hanno pose e sembianze ibride, organiche e meccaniche allo stesso tempo, pur mantenendo nella scelta di colori quali rosa e bianco i connotati naturali di carne e ossa. Il risultato è quello di avere di fronte figure incapaci di funzionare senza protesi metalliche, che portano lo spettatore quasi a indietreggiare, delimitando un confine tra noi e l'oggetto. Attraverso le sue sculture Bašić intende negoziare i meccanismi del divenire, speculando su scenari post-umani oltre la morte. Il processo di lavoro è estremamente complesso: ciascuna opera nasce da un periodo di intensa ricerca, che comprende studi storici e filosofici, misticismo religioso, ingegneria e processi cinetici. Tutti i pezzi sono realizzati in modo che i vari elementi si incastrino perfettamente, cancellando ogni traccia del suo intervento. Questa fusione perfetta di materiali richiede molta ingegneria e ciò rende la realizzazione lunga e laboriosa, tanto che una singola scultura può richiedere mesi o addirittura anni di produzione. È proprio questo il paradosso che cerca di comunicare: mettere in campo materiali resistenti al tempo e al divenire, ma comunque molto fragili, al fine di intravedere la carne nella pietra come vero e proprio atto di trasformazione della materia e come unica alternativa alla fuga fisica. «Sto cercando di pensare a cosa significhi ritornare all'informe ed essere liberata dai vincoli di questo mondo materiale…» – afferma – «Può essere che la scomparsa e la disintegrazione del corpo non siano solo una perdita, ma una forma di speranza?». Abbiamo terminato la nostra prima tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Barbati che si trova nella Main Section al numero 13 sul corridoio fucsia. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora di fronte alla galleria Barbati di Venezia nella Main Section, dove è proposta al pubblico l’opera di Agata Ingarden. La pratica dell’artista polacca Agata Ingarden è rivolta ad indagini nel campo delle post-umanità, della fantascienza e delle narrazioni mitiche. Lavora con molteplici media tra cui installazione, scultura e video e le sue opere, spesso una fusione di elementi industriali e materia organica, invitano gli spettatori a contemplare l'ambiguo rapporto tra natura e tecnologia nel mondo contemporaneo, evocando visioni di un futuro post-apocalittico o dominato dalle forze dell'Antropocene. Per chi osserva le sue sculture è fondamentale attivare l’immaginazione, che permette di speculare su futuri scenari possibili. Il suo vocabolario visivo è, infatti, sorprendente poiché – in una casualità quasi surrealista – crea connessioni inaspettate, senza tuttavia rinunciare a quel senso di familiarità che rimanda a culture e tecniche antiche. L’artista afferma in una recente intervista: «Ciò che mi interessa è il punto in cui “il sé” incontra “l’altro”. L'abietto. La questione della coesistenza degli elementi. Come costruiamo e comprendiamo le relazioni tra noi, la natura e la tecnologia, che sono come estensioni del nostro corpo. Quando una storia personale diventa coscienza collettiva». La scultura esposta in fiera ne è esempio tangibile. Recuperando alcuni tessuti e abiti da lei disegnati per la performance 4 rooms, dà vita ad una figura ibrida che ricorda una falena, la quale vola verso casa e si posa sul letto. La parola “home” è racchiusa sotto forma di scritta luminosa al suo interno, mentre la parola “empathy” ritorna più volte stampata sul lenzuolo. Tutto è relazione, tutto è connesso, come sottolinea anche l’abbondante uso del rame all’interno della struttura, materiale conduttore per eccellenza. Se ci avviciniamo notiamo uno strano movimento: l’insetto ci segue con gli occhi, ci spia. Ai cavi di rame sono, infatti, collegate due telecamere di sicurezza domestica che registrano in tempo reale su un’app quello che accade intorno. Questo genere di assemblaggi, messi in relazione con spazi e contesti diversi, generano in chi osserva un senso di vertigine, che confonde ogni consapevolezza e manda in frantumi tutti i nostri sistemi di credenze pregressi. Abbiamo terminato la nostra seconda tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Gandy che si trova nella sezione Back to the Future al numero 7 sul corridoio lilla. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo ora nella sezione curata Back To The Future davanti alla galleria Gandy di Bratislava, che presenta il lavoro dell’artista Ingeborg Lüscher. Ingeborg Lüscher, artista tedesca classe 1936, si forma inizialmente come attrice. Nel 1967, trasferitasi in Ticino ebbe occasione di conoscere i dissidenti della Primavera di Praga e iniziò a mettere in discussione le proprie scelte. Decise di dedicarsi alle arti visive e si stabilì nell'ex studio di Hans Arp a Locarno, dove entrò in contatto con gli artisti del Nouveau Réalisme. La produzione dell’artista spazia dalla fotografia alla pittura e alla scultura, irradiando un’onestà biografica radicale unica, unita alla gioia di vivere. Uno dei temi ricorrenti, ben esemplificato dalle sculture sulfuree in fiera, è l’interazione tra luce e tenebre, intese come forze indipendenti e contrastanti. «Mi ha sempre interessato il tema del fuoco, raccontato attraverso il suo principio, lo zolfo, e la sua fine, la cenere. E poiché la superficie di zolfo illumina le opere, m’interessa indagare cosa c’è dietro la luce» afferma Lüscher, che ha visitato le zolfatare e studiato questo elemento chimico a lungo, anche dal punto di vista simbolico e spirituale. La polvere di zolfo, infatti, fa parte della sua pratica dal 1984, quando la utilizzò in pittura combinandola con cenere e vernice acrilica nera, colpita dai contrasti di luce che questi materiali generavano l’uno accanto all’altro. Nel 1987 iniziò la serie di piccole sculture di forma geometrica o naturale che vediamo esposte, realizzate con blocchi di legno, metallo o cartone rivestiti di gesso e farina di legno e spolverati di zolfo. Il giallo e il nero sono i colori dominanti, ancora una volta a richiamare l’instancabile lotta tra luce e buio, tra vita e morte. Abbiamo terminato la nostra terza tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria Martin Kudlek che si trova nella sezione Disegni al numero 4 sul corridoio bianco. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Ci troviamo nella sezione curata Disegni, di fronte alla galleria Martin Kudlek di Colonia, che presenta una selezione di opere di Oscar Holweck. Pur trovandoci in una sezione dedicata alla tecnica del disegno, constatiamo immediatamente come le opere del tedesco Oskar Holweck, classe 1924 e scomparso nel 2007, sappiano affascinare per le loro qualità scultoree e senza tempo. Come affermava l’artista stesso: «Il mio obiettivo principale è estrarre forme intrinseche da un materiale e rendere visibile l'effetto della luce sulle superfici, negli spazi vuoti e affini alle proprietà del materiale stesso». Holweck è considerato il pioniere della sperimentazione su carta, che ha utilizzato come medium per tutta la vita e sulla quale ha impostato tutta la sua produzione. Se nei suoi primi lavori con inchiostro e grafite la utilizzava ancora nel senso più tradizionale, cioè come materiale di supporto, dal 1958 iniziò a sperimentarne le infinite possibilità, realizzando i suoi primi rilievi e rendendola un materiale scultoreo in cui si manifestavano fenomeni di luce e ombra, spazio e tempo. Utilizzava fogli di carta bianca industriale, che lavorava con un metodo da lui stesso descritto in questo modo: «Quando si lavora con la carta, questo significa piegare, piegare, accartocciare, piegare, premere, spremere, comprimere, allungare, incidere, perforare, strappare, tagliare, tagliare, incollare, battere, battere, forare, segare, bruciare, riscaldare, bruciare». La pratica risulta spontanea nell’azione, ma fortemente progettata e studiata negli obiettivi. Per creare questo repertorio di elementi visivi e fisici, infatti, Holweck ha creato i propri strumenti e inventato una sorta di “grammatica visiva” basata su sequenze, ritmi, densità, spaziature. È nella serialità che si manifestano la sua tenacia e la sua disciplina. Il colore bianco, come intendevano gli artisti del gruppo Zero di cui faceva parte, non era considerato solo l'emblema della smaterializzazione e delle esperienze della condizione umana, ma anche la massima rappresentazione del concetto di luce e terreno ideale per una ricerca chiaroscurale. Il lavoro viene registrato con precisione, così da poterne seguire passo passo l’evoluzione: l'artista data meticolosamente ciascuna opera a matita, in netto contrasto con le ruvide ferite della carta. Abbiamo terminato la nostra quarta tappa. Metti in pausa il tuo player e dirigiti verso la galleria LABS che si trova nella sezione Monologue/Dialogue al numero 12 sul corridoio grigio. Schiaccia play una volta che sarai lì. Ti aspetto!
Siamo quasi giunti alla fine del nostro tour, che concludiamo di fronte ai lavori di Cécile Beau e Charlotte Charbonnel proposti dalla galleria LABS di Bologna nella sezione Monologue/Dialogue. La galleria propone un dialogo tra due artiste parigine, Cécile Beau (classe 1978) e Charlotte Charbonnel (classe 1980), i cui lavori indagano il rapporto tra uomo e ambiente circostante e trovano un punto di accordo nell’osservazione della natura e del cosmo. Le loro opere fondono arte e scienza, rivelando come l’alterazione della materia non sia solamente un fenomeno fisico, ma possa farsi portatrice di un’energia più profonda, capace di guidarci nella comprensione di noi stessi e della contemporaneità. Le artiste danno vita a veri e propri microecosistemi (viventi, estinti o immaginari) intervenendo su vari tipi di materiali: l’aggiunta di elementi sonori permette, inoltre, allo spettatore di immergersi in questi ambienti e di percepirne la trasformazione incessante. Cécile Beau combina piante e minerali con macchinari illusionistici creando sculture sonore e luminose, che danno vita a paesaggi di “fantascienza lenta”, dove è proprio il gap tra realtà e finzione a generare la poesia e a traslare lo spazio e il tempo. La serie Accrétion del 2017 è composta da emisferi realizzati con una miscela di cemento, sabbia, terra e pigmenti. Questa scelta rievoca la più umile tecnica muraria e riabilita il ruolo originario dell’artista come artefice, cioè colui capace di rivelare mondi sconosciuti e interrogare la realtà. L’opera Aoriste del 2018 consiste, invece, in una roccia basaltica adagiata a terra su cui crescono dei muschi. All'interno di questa si nasconde un apparecchio acustico che riproduce un doppio suono: quello di un terremoto alternato al respiro ovattato di una pantera. Con questa particolare scultura il regno minerale interagisce con quelli vegetale e animale dando origine ad un essere ibrido. Anche l’opera di Charlotte Charbonnel cattura fenomeni materiali o naturali, esplorando i diversi stati della materia. Ne sono un esempio Asterisme, opera del 2014 che consiste in cupole di vetro soffiato dentro cui viene riprodotto il suono delle stelle della costellazione della Lira indicizzate dalla NASA o la serie Concretios, dello stesso anno, dove cristalli di sale vengono coltivati su cordoni di varie dimensioni e maglie e in cui la scelta dei medesimi determina la struttura cristallina e il grado di diffrazione dei cristalli. Nella serie Molybdomancies, realizzata tra 2018 e 2022, Charbonnel tenta invece di “congelare” la materia metallica nel suo stato di fusione, giocando con le leggi immutabili della fisica e attingendo da antiche tradizioni divinatorie. Abbiamo terminato la nostra quinta e ultima tappa. Speriamo che questo percorso ti abbia stimolato e incuriosito. Se vuoi un altro punto di vista sulla fiera, torna all’info point o sulla landing page delle AudioGuide e seleziona un altro podcast! A presto e buona Artissima!