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Dove finiscono le tracce

Sostenuta e nata dal desiderio della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT di valorizzare la propria collezione e a cura di Artissima, Dove finiscono le tracce è una mostra diffusa in luoghi iconici della cultura torinese. L’esposizione è un percorso itinerante in cinque luoghi del centro di Torino, una riscoperta della città attraverso l’esperienza di cinque opere testimoni della collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT acquisite nel corso degli ultimi vent’anni e conservate come patrimonio museale dalla GAM – Galleria Civica di Arte Moderna di Torino e dal Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea.

L’esposizione è, nelle parole del Direttore Luigi Fassi, “un racconto del rapporto tra grande storia e microstoria attraverso alcune opere iconiche degli artisti prescelti, in cui l’evoluzione degli eventi che segnano il decorso dei processi storici è accompagnato da riflessioni che declinano i sommovimenti epocali in chiave intima, dando spazio alla soggettività degli artisti così come alla storia culturale del territorio”.

i luoghi

FRANCESCO GENNARI @ Palazzo Perrone di San Martino - Fondazione CRT

Contrazione della metafisica n.2, 2007

Il titolo Contrazione della metafisica n.2 indica sin da subito la prospettiva da cui osservare la scultura in marmo bianco di Francesco Gennari. Quando qualcosa si contrae la sua forma si increspa, il volume diminuisce e la densità aumenta. Nel pensare l’opera Gennari immagina una forma scultorea che progressivamente si asciuga, concettualmente e formalmente, per rapprendersi infine nella figura di un osso animale. Lo scheletro a cui appartiene è, tuttavia, quello di una bestia immaginaria: un’anatomia impossibile in cui le ossa rappresentano l’elemento più denso, come negli organismi reali. E poiché l’animale esiste solo nella mente dell’artista, l’opera funziona come indizio della presenza nel mondo del suo autore, rivelando così la ragione che accompagna l’intera ricerca di Gennari: la volontà di affermare sé stesso mediante una costellazione di autoritratti. Tra le geometrie siderali delle sue sculture, si consuma il desiderio di confrontare lo spazio soggettivo del corpo e dei sentimenti col tempo storico della realtà che vive all’esterno.

William Kentridge @ Teatro Carignano

City of Moscow (Map: Geodetic Bureau for the planning of the City of Moscow, 1940), 2009

Attraverso molteplici linguaggi espressivi – dal disegno al film, dalla scultura alla scenografia teatrale – William Kentridge è da sempre impegnato a esplorare quelle vicende storiche che hanno segnato il Novecento e che influenzano ancora il presente. Ciò lo ha portato a confrontarsi spesso con opere e artisti legati a momenti del secolo scorso densi di significato politico, come nel caso del Naso, opera lirica di Dimitrij Šostakovič ispirata all’omonimo racconto di Nikolaj Gogol’. Nel 2006 Kentridge ha ricevuto una commissione dalla Metropolitan Opera di New York per la regia di una nuova messa in scena dell’opera. In questa occasione l’artista ha dato vita a un intero corpus di opere, tra le quali figura anche il grande arazzo dal titolo City of Moscow (Map: Geodetic Bureau for the planning of the City of Moscow, 1940). Ciò che interessa Kentridge è l’utilizzo che Gogol’ fa dell’assurdo come dispositivo narrativo, aspetto che emerge dagli antecedenti letterari da cui lo scrittore russo trasse ispirazione: un passaggio del Tristram Shandy di Sterne (1759-67) e il Don Chischiotte di Cervantes (1601). Ed è proprio dal romanzo di Cervantes che l’artista recupera un’iconografia equestre reinterpretata in chiave antieroica. La silhouette nera del cavallo si sovrappone a una mappa di Mosca nel 1940, città teatro degli sconvolgimenti della storia europea novecentesca e luogo in cui i sogni di cambiamento rivoluzionario hanno dapprima dato significato alle vite di molti, per poi crollare bruscamente dopo la salita al potere di Stalin.

Cally Spooner @ Museo del Risorgimento

Soundtrack for a Troubled Time, 2017

Soundtrack for a Troubled Time è un’installazione sonora che riflette sul movimento dei dati e delle informazioni nel 2017. Cally Spooner ha creato quest’installazione dai toni assurdi in un periodo in cui l’uso aggressivo e insensato del linguaggio, pur muovendosi sul piano incorporeo della parola, aveva prodotto una realtà “degradata” e pervasa da una violenza invisibile. Senza limitarsi a una mera critica all’elezione di Donald Trump, o ai vari populismi che presero piega politicamente - e digitalmente - in quel periodo, l’opera restituisce la sensazione di essere sommersi da un’atmosfera linguistica e politica deteriorata. La traccia audio a due canali diffonde nello spazio la voce di un performer che conta fino a venti in spagnolo, mentre viene travolto da secchiate d’acqua; al contempo, il rumore secco dei colpi sferzati a una palla da golf attraversa l’ambiente. Da una dimensione numerica, astratta e finanziaria, il suono acquisisce fisicità e lascia emergere il corpo del performer che, boccheggiando, non riesce più a scandire le parole. Il linguaggio si disarticola, mentre le tracce di una realtà inquieta iniziano a manifestarsi; un corpo, implicato e sommerso, può agire e lo farà. Spooner considera quest’opera una fiction, nella convinzione che la finzione sia a volte il modo migliore per raccontare il reale.

Peter Friedl @ Palazzo Madama

Failed States, 2011

Dal 2005 l’organizzazione statunitense no profit Fund for Peace stila un report annuale, l’FSI (Failed States Index, poi diventato Fragile States Index), che monitora la vulnerabilità dei Paesi ai conflitti e al fallimento economico. L’artista Peter Friedl, interessato all’arte come strumento critico per analizzare il reale, prende spunto da questo documento per mostrare la matrice ideologica di simili operazioni. La grande composizione dal titolo Failed States, realizzata da detenute ed ex-detenute del carcere Le Vallette di Torino, raccoglie 20 bandiere nazionali e, giocando in modo tagliente con il nome del report, avvicina nazioni solitamente indicate ad alto rischio di fallimento con quelle considerate a rischio inferiore. Aggiungendo a queste anche le bandiere di Stati non riconosciuti, e non dichiarando i parametri della propria selezione, l’artista smaschera la parzialità del documento. L’FSI si rivela, così, un mezzo che assume il punto di vista statunitense per riconfermare ogni anno la geografia di potere dominante, escludendo ed etichettando a partire da parametri considerati oggettivi ma, in fin dei conti, prettamente politici e arbitrari.

Simon Starling @ Teatro Regio

Four Thousand Seven Hundred and Twenty Five (Motion Control / Mollino), 2007

Four Thousand Seven Hundred and Twenty Five (Motion Control / Mollino) è un film in 35 mm in cui i movimenti della macchina da presa percorrono da ogni angolazione possibile le forme di un’iconica sedia progettata da Carlo Mollino nel 1959. Nel corso della sua carriera Simon Starling ha esplorato ininterrottamente la figura di Mollino e la sua eredità artistica e culturale, dialogando in più di un’occasione con i progetti dell’architetto e designer torinese. In questo video l’atto di osservare la sedia molliniana permette a Starling di evocare, attraverso i movimenti della cinepresa, l’autore che l’ha progettata. Il modo di procedere dell’inquadratura richiama non soltanto l’arabesco, linea emblematica delle creazioni di Mollino, ma anche i percorsi sinuosi e curvilinei degli sci e degli aeroplani, sue grandi passioni. Attraverso l’occhio filmico, Starling realizza così una lettura interpretativa inedita e maestosa, che dall’analisi formale si approssima a un atto di omaggio nei confronti del proprio oggetto.
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